lunedì 6 dicembre 2010

L'università italiana: brevi appunti dal mondo reale (Prima parte)

In tema di università le dichiarazioni ormai si limitano ad inutili frasi ad effetto e, come sempre, non esiste una seria e magari noiosa trasmissione televisiva d'informazione ma un fiorire di rumorosi e colorati programmi che intrattengono il telespettatore, lo eccitano, lo aizzano, facendogli credere di essere parte di qualcosa e alla fine non gli spiegano nulla. Ciò che resta è un effimero incattivimento e il solito elementare trasferimento di frasi fatte che diventa l'alternativa - comoda - al costruirsi un'opinione propria. Sarebbe interessante, a mio parere, mostrare agli italiani come funzionano le cose all'estero e come università - spesso prese come esempio mitico - siano diventate e restino eccellenti. Perché l'impressione che ho è che in Italia si viva - o si voglia vivere - in una specie di salottino privato del tutto incurante e svincolato da ciò che accade fuori. Uscendo dal salottino ti rendi conto che tutto va ad un'altra velocità e quello che sembra in patria problema insormontabile, tenzone politica, gradino invalicabile, scandalo pruriginoso, all'estero è visto come solita opera buffa all'italiana, divertente ed incomprensibile, ma del tutto insignificante. Il problema però esiste e non fa neanche tanto ridere perché se è vero che ci piace rotolarci tra i rifiuti della polemica, con le dichiarazioni istituzionali seguite dall'inattività pratica è anche vero che il meccanismo è in irreversibile disfacimento ed il peggio arriverà presto.

Torniamo quindi al tema principale e, toccando alcuni punti, cerchiamo di raccontare qualcosa di reale. Partiamo dal concetto di Università: L'Università non esiste. Esistono LE università. E' evidente - a quanto pare non a tutti - che le necessità di un ricercatore di Storia non siano le stesse di un ricercatore di Scienze Biologiche e tutti i discorsi su un'astratta ed omogenea entità chiamata "Università" sono segno di scarsa qualità dell'analisi. Dunque, io non so quali siano le spese delle facoltà umanistiche ma so bene che far funzionare un laboratorio di ricerca costa ed anche tanto e tagliare uniformemente i fondi dell'entità - inesistente - "Università" significa penalizzare chi costa di più non per spreco ma per necessità. Detto questo, sarebbe bene anche rendere i controlli sulla spesa più stringenti e questo, per alcune facoltà scientifiche, non sarebbe nemmeno tanto difficile perché se un laboratorio - trascorso un ragionevole lasso di tempo - non pubblica articoli, non partecipa a network internazionali e non collabora con nessuno è difficile che stia ricercando qualcosa. Inoltre, questo tipo di giudizio è alquanto oggettivo perché del tutto indipendente dalla presenza-assenza di baroni e relative discendenze. Nelle università però tutti sanno chi fa ricerca e chi non la fa ma il trattamento resta comunque lo stesso.

Dunque, il primo dato dal mondo reale è che la ricerca costa molto ed ogni discorso serio sull'università non dovrebbe prescindere dal fatto che avere ottime idee e non poterle realizzare è come non avere ottime idee. Per questa ragione, l'Unione Europea mette a disposizione fondi per finanziare la ricerca all'interno di programmi definiti "strategici". E qui arriva il secondo dato dal mondo reale: in molte università italiane tutta la fase di ricerca fondi, studio della regolamentazione e compilazione della documentazione non è svolta da personale dedicato ma dagli stessi ricercatori che se va bene si dividono tra laboratorio e carte, se va male abbandonando definitivamente il laboratorio per le carte.

Una pittoresca idea che ho sentito in questi giorni è quella che l'università sia un posto in cui una generica figura denominata "ricercatore" occupi il suo tempo trotterellando allegro sui prati verdi della scoperta. Prima di tutto va chiarito che in università esiste una gerarchia. E in virtù di questa gerarchia, spesso accade che il professore associato fa ciò che dovrebbe fare il professore ordinario ed il ricercatore fa ciò che dovrebbe fare l'associato. E siccome anche il ricercatore non vuole essere l'ultimo anello della catena alimentare, ciò che non fa lui lo farà il dottorando. Inoltre, si sottolinea sempre troppo poco il fatto che l'università riesce ad andare avanti non solo grazie al personale ufficiale ma anche grazie a quella marea "atipica" che, con l'orizzonte contrattuale di un anno, fa ricerca, lezioni, laboratori senza tutele e rappresentando una risorsa preziosa a basso costo.

Infine, tocchiamo un argomento interessante: la scoperta e le sue conseguenze. Nonostante molti amino immaginare la scienza come distante dal vil denaro, in realtà quando un'idea è buona le ricadute economiche e pratiche possono essere notevoli. Si stima che i ricercatori italiani emigrati all'estero abbiano prodotto una ricchezza in termini di valore di brevetti pari a quattro miliardi di euro. Ciò significa che il costo sostenuto per la formazione è tutto a carico dell'Italia, i profitti invece sono a favore del resto del mondo. In effetti, siamo un paese generoso. Ma perché non è facile brevettare prodotti universitari in Italia? Le ragioni sono varie ma, oltre al totale disinteresse pubblico nei confronti di ciò che si produce nelle università, una vera malattia cronica è la mancanza di un meccanismo semplice che non obblighi lo scienziato con una buona idea ad occuparsi di ciò che non conosce (burocrazia, legislazione, analisi di mercato, analisi dei costi, profittabilità). Ci sono paesi che considerano la ricerca scientifica con grande rispetto perché, se ben gestita, rappresenta un asset prezioso sotto molti aspetti e, saputo dell'esistenza di stati benefattori come l'Italia, propongono ai ricercatori stranieri delle condizioni talmente vantaggiose che rifiutare diventa impossibile. In pratica, se l'idea è valutata come interessante, il ricercatore viene aiutato sotto tutti i punti di vista fino alla commercializzazione finale del prodotto. L'ente aiutante si prenderà in cambio una buona percentuale dei profitti ed il ricercatore, oltre alla rimanente percentuale, vedrà la sua idea diventare realtà in tempi ragionevoli. In Italia, in qualche università ed istituto, esiste qualcosa di simile ma non è certo la regola. Ad onor del vero, qualcuno sostiene che un meccanismo così orientato al risultato potrebbe ridurre la creatività del ricercatore. Io penso che sia molto più pericoloso per la creatività del ricercatore il vedere le proprie idee diventare scoperte di altri solo perché si è atteso troppo aspettando fondi, personale e macchinari per realizzarle. Inoltre, il rischio di riduzione della creatività non sembra spaventare tutte le persone in gamba che abbandonano l'Italia.

Di fronte a questa situazione dolosamente sterile, i politici e l'informazione che fanno? Tirano fuori la solita storia che dovrebbe consolare il paese: il genio italiano conquista il mondo! E' vero, i ricercatori italiani spesso sono eccellenti ricercatori e quando vanno all'estero se ne rendono conto anche loro - difatti non tornano più - ma questo è un vanto solo a metà. Accanto a situazioni di evidente spreco, genealogia, fannulloneria e sindromi da "Mi sono sistemato ed ora chissenefrega", esistono ottimi ricercatori e sapere di avere un potenziale elevato in casa e poi vederlo sprecare ogni giorno per ragioni che non riguardano la ricerca ma il totale disinteresse, impreparazione e disorganizzazione è deprimente. Ed ancora più deprimente è l'uso cinicamente politico che ormai si fa di ogni cosa.

lunedì 8 novembre 2010

Il Regno di Giovanardi

Per tutto il giorno oggi, il Corriere della Sera e La Repubblica, mettono come notizia fondamentale la conferenza nazionale sulla famiglia dal titolo «Famiglia: storia e futuro di tutti» organizzata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Ovviamente, una delle ragioni per cui si accendono i riflettori su un evento minore come questo è l'assenza del Presidente del Consiglio. Non entrerò nel merito della scelta - non serve molta intelligenza per evidenziare l'evidente ed ancora meno ne serve per fingere che non lo sia - al contrario, vorrei far notare che, l'effetto collaterale di tale esposizione mediatica ha permesso al sottosegretario alla Famiglia Carlo Giovanardi di esporre dei dati e darne un'interpretazione quantomeno bizzarra. Giovanardi dice che:
- nel 1972 i matrimoni sono stati 419 mila contro i 246.613 del 2008;
- il tasso di natalità è sceso a 1,42 figli per donna italiana;
- il tasso di natalità è di 2,3 figli per donna straniera;
- negli ultimi anni sono cresciute le separazioni legali e i divorzi.
Da questi dati deduce che: «C'è una seria crisi della natalità e dell'istituto matrimoniale». Non contento poi, estende la disamina alla legge 40 sulla fecondazione affermando che: «La legge 40 viene contestata da chi in nome del desiderio di genitorialità ritiene lecito e possibile ricorrere all'acquisto dei fattori della riproduzione procurandosi sul mercato materiale genetico in vendita e trovando terze persone che si prestano o a dare l'utero in affitto o donatori che possano dar vita all'embrione. Scienza e biotecnologie possono togliere ai figli il diritto di nascere all'interno di una comunità d'amore con identità certa paterna e materna».
E' sempre interessante notare come le parole possano distorcere anche l'oggettività dei numeri. Tanto per cominciare non capisco la seria preoccupazione di Giovanardi. Se i matrimoni e il tasso di natalità calano, vuol dire che, negli ultimi 30 anni, le persone hanno deciso di fare meno figli, sposarsi di meno e divorziare di più. E' così terribile tutto ciò? Questo dicono i numeri e mi sembra che non dicano nulla di nuovo se consideriamo le normali società laiche ed occidentali, il modo di vivere delle persone ed il loro modo di lavorare. Il discorso evidentemente cambia se, nel concetto di famiglia, si innesta una visione religiosa. Considerando la famiglia come una struttura inscindibile e sacra, un luogo puro e incontaminato ove nascono bimbi felici, allora ogni riduzione del tasso di crescita di questo Paradiso Giovanardiano è da percepire come "seria crisi". Se poi a questa visione ci agganciamo anche il fatto che i cinesi, ed ancor di più gli indiani, si risproducono a tassi stratosferici senza essere nemmeno cattolici, bè questo penso proprio che tolga il sonno a Giovanardi e a tutti i fieri difensori della Famiglia (F maiuscola, mica cotica eh!). Ancora più interessante poi è, in contrapposizione al meraviglioso Paradiso Giovanardiano, il temibile Inferno Giovanardiano. Orde di sedicenti - ma non meritevoli - portatori di desiderio genitoriale che acquistano, probabilmente su internet e pure con l'iPhone4, fattori di riproduzione (occhio a non dire "sperma" perché nella conferenza della famiglia c'è solo amore, mica zozzerie appiccicose) ed affittano uteri. La scienza e le biotecnologie - fetenti e cornute, aggiungerei per chiarezza - negano ai bimbi di nascere all'interno di comunità d'amore, non permettendo loro di avere madre e padre certi (a dire il vero, la certezza del padre è sempre stato un annoso problema anche prima delle biotecnologie).
Non mi aspetto che Giovanardi cambi opinione anche perché basterà il tempo a fargli capire che il suo micro-mondo d'amore per definizione, indipendente dalle persone e minacciato dalla scienza è solo una sua personalissima visione. Più che altro mi domando per quale ragione, una coppia - sposata o non sposata - che non la pensasse come Giovanardi e volesse un figlio debba subirsi la cosmogonia giovanardiana. Posto che sia legittimo per un cattolico pensarla come gli pare, la legge dovrebbe essere tale da permettere alle persone di scegliere secondo coscienza (la propria, possibilmente). Anche se, lo ammetto, non essere degni del Regno di Giovanardi è sempre una bella soddisfazione.

Aggiornamento delle 16.45:
E dopo il Regno di Giovanardi, le Tavole di Sacconi: "Le politiche pubbliche che si realizzano con benefici fiscali sono tarate sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio e orientata alla procreazione". Propongo a Sacconi e Giovanardi di rifiutare sdegnati i voti presi da tutti i divorziati, separati e conviventi d'Italia. Poi rifiuterei anche i voti di chi ha consumato rapporti prematrimoniali. E, già che ci siamo, rifiuterei anche i voti di gay e lesbiche. E chi è sposato e va a mignotte? Uhm...no quelli no: rientrano in un sano e vivo rapporto di famiglia naturale.

Aggiornamento delle 18.15:
Dopo le polemiche Sacconi precisa: "Ho fatto la distinzione tra una dimensione pubblicistica e una privatistica per quanto riguarda altre relazioni affettive che devono avere rispetto in una dimensione privatistica". Aaaaaaah ecco, adesso è più chiaro. Io avevo capito che la relazione affettiva in una dimensione privatistica fosse cornubata da una pelta di scrofo che misasse la rumba del misto cannaiolo con un po' di aggotico e mirto concubino..

venerdì 22 ottobre 2010

Lettera spedita alla segreteria di redazione del Tg1

Buongiorno,
Vi scrivo alle 14.00 del 22 ottobre, al termine del Tg1 per raccontarVi come mi sento e cosa sto pensando del Vostro telegiornale. Pochi minuti fa stavo pranzando quando è iniziato l'immancabile, quotidiano aggiornamento sul delitto di Sarah Scazzi. Detto molto sinceramente mi sono sentito a disagio mentre, mangiando come tante altre persone a quell'ora, ho sentito leggere gli atti delle dichiarazioni del presunto omicida che ricostruiva nei minimi dettagli l'accaduto. E quando il conduttore del telegiornale ha esortato i telespettatori che avessero dubbi o semplici curiosità sulla vicenda a scrivere o telefonare alla trasmissione di approfondimento delle ore 16.00, il mio disagio si è trasformato in schifo. Come si può esortare la curiosità delle persone verso un omicidio? Come si può trattare un delitto come fosse un evento di costume? E, infine, come si può non avere delicatezza verso chi ha perduto qualcuno di caro in circostanze come queste? Immagino quale sia la Vostra risposta. Forse mi direte che, a giudicare dagli ascolti, è questo che la gente vuole vedere. Probabilmente avete ragione ma io penso che l'informazione pubblica non dovrebbe rincorrere la parte più brutta di noi. Semmai, è proprio in queste situazioni che si dovrebbe contrapporle sensibilità e rispetto. I parenti di quella ragazza non valgono meno dei milioni di persone che vogliono notizie sempre più raccapriccianti e particolari sempre più macabri. Caricare la curiosità più morbosa del pubblico durante un Tg per poi soddisfarla nelle trasmissioni di approfondimento dove gli spazi pubblicitari magari costano di più. E' questo il meccanismo? Se la risposta fosse negativa, Vi faccio una proposta. Perché le entrate pubblicitarie prodotte dalle "trasmissioni di approfondimento" su questa vicenda non le donate alla Signora Scazzi? Almeno le paghereste il dolore nel vedere ogni giorno lo spettacolo triste di sua figlia in televisione.
Distinti saluti.

lunedì 4 ottobre 2010

I problemi sono altri, cioè quelli, e ci siamo capiti (Terza parte)

Ma perché mi è venuta voglia di parlare di questo argomento? Qualche giorno fa seguivo un programma di approfondimento politico quando un noto imprenditore italiano, dopo aver ascoltato il rappresentante del governo e quello dell'opposizione parlare di società off-shore, paradisi fiscali, scoop pilotati, giornalisti misteriosi, lotte di potere e marciume vario , se ne esce con la fatidica frase "Va bene ma, a parte tutti questi argomenti che non appassionano certo gli italiani, perché non parliamo dei veri problemi del paese?". In prima battuta, l'intervento dell'imprenditore mi era sembrato sensato: continuare a sentire questi due accapigliarsi sull'accusa e la difesa di un sistema che in altri paesi avrebbe già mandato tutti a casa mi stava infastidendo. Ma poi, mi sono chiesto, perché tutti questi argomenti non dovrebbero appassionare gli italiani?

Io forse faccio parte di uno strano gruppo di italiani ma a me ciò che i miei governanti fanno fuori dal parlamento interessa. E perché non dovrebbe? Proprio come quando lo stimato ingegnere, primario, architetto, avvocato, manager o imprenditore effettuando aggressive evoluzioni in autostrada con il suo rombante monolocale biturbo, dimostra prima di tutto di essere un incivile e solo in un'ultima istanza - e come aggravante - un professionista, così il politico, prima di essere uno strepitoso governante, dovrebbe essere un cittadino per bene. Questo ragionamento non farebbe una grinza se non fosse che ormai per gli italiani tutto ciò che non accade in parlamento è solo vita privata e, in un misto di garanzia della privacy all'amatriciana e cattolicissimi non scagliare mai la prima pietra, si permette a chiunque di candidarsi, essere eletto e trasformare i suoi vizi privati in pubbliche virtù. E più condisci di ironia le tue marachelle, più sbandieri la tua tendenza all'eccesso, alla cafonaggine e alla furbizia con un cipiglio da simpatica canaglia e più le persone ti percepiscono come quello sveglio che però è anche vicino, accessibile e, forse un giorno, emulabile. Evviva quindi il ganassa di tutti noi, il compagnone che ce l'ha fatta, l'uomo che, nonostante il suo carico di grande responsabilità, è simpatico e ci regala allegri momenti del quotidiano che, vabbè sarà pure imperfetto, ma non sottilizziamo perché questa è la sua vita privata e i veri problemi sono altri.

Ecco, io di fronte a questa commedia non reggo. Visto che non mi sento diverso da un danese, da un austriaco o da un inglese, non capisco perché dovrei accontentarmi di affidare la gestione della cosa pubblica - cioè anche mia - e i soldi pubblici - cioè anche miei - a qualcuno che cade sui fondamentali. Se hai già dimostrato di saper delinquere o, nella migliore delle ipotesi, se da anni dimostri di non saper fare assolutamente nulla perché dovresti rappresentarmi?

sabato 2 ottobre 2010

I problemi sono altri, cioè quelli, e ci siamo capiti (Seconda parte)

Chi ama usare il giochetto "I problemi degli italiani sono altri!"? A differenza di quanto sostenuto da mygenomix (vedi commento alla Prima parte) che ritiene sia d'uso e consumo delle opposizioni in quanto esenti da responsabilità, io verifico ogni giorno che il trucco è usato bipartisan. Ho sentito proprio oggi esponenti di partiti di governo ed opposizione darne sublime prova. Il trucco è amato perché permette all'opposizione di dimostrare che il governo non è in grado di risolvere i problemi del paese e al governo di dimostrare che, dato che i governi passati hanno lasciato loro in eredità situazioni disastrose, ora non hanno colpe e stanno, comunque, lavorando per noi. Insomma, con la stessa frase si ottengono effetti favolosi. Sempre.

Ma c'è qualcosa di più. Quando si dice che i problemi che interessano gli italiani sono altri e quando gli interessati producono solennemente quel tipico movimento verticale del cranio che in occidente significa "Sì, sono d'accordo" non viene il dubbio a qualcuno che non si abbia la minima idea di che cosa si sta parlando? Tralasciando l'ovvia argomentazione che potenzialmente ogni italiano può dare alla parola problema una sua connotazione e quindi parlare genericamente di problemi degli italiani è non dire assolutamente nulla, la mia domanda è: ma gli italiani sanno davvero quali sono i problemi degli italiani?

Gli italiani hanno un'idea di cosa stia succedendo al paese sotto l'aspetto economico, industriale, energetico, ambientale? Perché io ho il vago sospetto che a forza di essere tranquillizzati nel sentire che ci sono dei problemi che tutti conoscono e qualcuno ci sta lavorando, poi non interessi più quali essi siano. E' come sapere che un cane fa la guardia da tempo immemore ad un cancello ed il solo fatto di sentire un "Bau!" ogni tanto ci distolga dal verificare se il cancello sia aperto, chiuso o se esista ancora un cancello. Non basta protestare contro le tasse troppo alte o l'assenza di posti di lavoro. Queste sono conseguenze di anni di ignoranza tranquillizzata da estemporanei "Bau!". E non basta continuare a dire che "I problemi degli italiani sono altri!" perché finché non si spiegherà agli italiani quali sono questi problemi e gli italiani non inizieranno a consumare un po' di energia per capire e giudicare arriveranno presto altre conseguenze contro cui protestare. Ma saranno solo conseguenze di problemi. Non IL problema.

E siamo arrivati al punto. Perché permettiamo a questa gente di fingere di stare dalla nostra parte e sentirci per questo soddisfatti fino alla prossima puntata? Quello che noto io in Italia è che si è passati da un principio di rappresentanza ad un principio di totale ed assoluta delega. Sei un politico? Allora devi sapere le cose al posto mio così io evito di farmi un mazzo così per studiarle. Un esempio? Il referendum. Il senso di fastidio che attanaglia la maggior parte degli italiani quando devono onorare il diritto della democrazia diretta dimostra quanto piaccia il masochismo. E la brillante tesi è: i politici sennò che ci stanno a fare? Semplice: ad ammirare questo antico e glorioso popolo che docilmente si flette con geometrica angolazione di 90°.

Quindi, ricapitolando: siete sul bus, al bar o tra amici? Usate questo fantastico trucchetto! Concludete sempre con un criptico "Eh, ma i problemi degli italiani sono altri!" funziona sempre, farete un figurone e tutti saranno d'accordo con voi. Ma attenzione: non dite mai quali sono questi problemi perché a loro basta sapere che qualcuno sa che loro sanno di sapere. E ci siamo capiti.

venerdì 1 ottobre 2010

I problemi sono altri, cioè quelli, e ci siamo capiti (Prima parte)

C'è un vecchio trucco dialettico tanto amato dai politici che, personalmente, trovo tanto efficiente quanto fastidioso. E' il trucco dell'interrompere qualsiasi tipo di discussione con il classico "...ma i problemi sono altri!". Le varianti multiforme sotto cui, pernicioso, si traveste possono essere:
- "Le priorità del nostro paese sono altre"
- "Ciò di cui parlate non appassiona gli ascoltatori"
- "Gli italiani non pensano a queste cose"
- "Anziché litigare su questi argomenti dovreste pensare ai veri problemi dell'Italia"
Questa tecnica è vecchia come il mondo perché è perfetta (e mi spiace per chi ha assentito ad ogni variante) per un popolo cialtrone. Non ne posso più di sentire politici che dichiarano di conoscere quali siano i problemi importanti per gli italiani perché se lo sapessero davvero li avrebbero già dovuti risolvere. Quindi i casi sono due: o li conoscono e non li sanno risolvere o non li risolvono perché non li conoscono. Quale preferite?
Ma torniamo alla suddetta tecnica: perché funziona così bene? Funziona perché in un istante crea il gruppo, accomuna sconosciuti che d'un tratto si sentono chiamati in causa, rispettati nel vago sentire e stimolati nella loro generalizzata incazzatura. Usare questa tecnica è come lavorare sui grandi numeri, sparare sulla folla e, colpendo qualcuno, sostenere di essere degli infallibili cecchini. Ogni volta che si afferma "dovreste pensare ai veri problemi" si dice tutto e quindi nulla perché si crea uno spazio vuoto che ognuno può riempire con il suo specifico problema o la sua specifica ignoranza. Tutti sono d'accordo se si cambia il livello di zoom e risalire fino alle classi più generali aumenta il consenso. Se dico che l'ambiente dev'essere salvaguardato tutti sono d'accordo ma se dico che domani ti costruirò un smaltitore di rifiuti sotto casa il consenso cambia. Se dico che la mobilità è importante tutti sono d'accordo ma se domani un binario di treno, un aeroporto o un pilone dell'autostrada appariranno davanti al tuo balcone il consenso cambia.
Ma la forza di questa tecnica non è solo legata al creare gruppo. C'è qualcosa di più. La forza di questa tecnica permette all'effimero club degli scontenti di essere e restare tali senza fare nessuna fatica. Con in più la certificazione dall'autorevole personaggio pubblico di turno. Che bella sensazione di calda intimità potersi accoccolare nel proprio strisciante senso di insoddisfazione con qualcuno che ti rimbocca le coperte! E poi vuoi mettere: al bar, al mercato, sull'autobus anche tu puoi sfoderare il tuo "Ma non sono questi i veri problemi!" e come attivando una connessione bluetooth ti ritrovi circondato da tanti dispositivi annuenti che ti rendono re per un giorno. E senza fatica! (NdA: ovviamente mi rifiuto di considerare la tesi di coloro che pensano che la gente non debba avere opinioni precise perché per questo ci sono i politici. Non amo perdere tempo).
Diffido quindi da chi utilizza o subisce passivo questa tecnica perché, sotto un'apparente necessità di sintesi, nasconde spesso ricerca di facili consensi e tanta pigra ignoranza. C'è un problema da risolvere? Lo risolvi. Non sai bene quale sia il problema? Studia.

lunedì 20 settembre 2010

Sorprendente

"Dato che mi piace il sushi mi sono tatuato il mio nome in giapponese sul braccio".
(Franceso Silvestre, cantante dei Modà - Top of the pops, 18-09-2010)

martedì 7 settembre 2010

Terremoto fai da te

Bizzarre certe reazioni. In Italia esiste un Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) che ha un bel sito web (http://cnt.rm.ingv.it/earthquakes_list.php), ben mantenuto, pieno di dati interessanti ed aggiornati sugli eventi sismici del nostro Paese. Ebbene, è notizia di ieri che il Presidente dell'INGV, Enzo Boschi, stia pensando di bloccare la pubblicazione di tali dati a favore di un ben più misero report sintetico. La ragione di questa scelta è stata motivata con il rischio che tali dati vengano utilizzati per interpretazioni poco scientifiche e fantasiose. Ripeto: bizzarra reazione. Il fatto che un sito web - proprio perché ben fatto - permetta a chiunque di scaricarsi dei dati ed analizzarli come gli pare generalmente, nel mondo, non porta a trasformare lo stesso sito in qualcosa che non serve a niente e a nessuno. Sarebbe come se l'Organizzazione Mondiale della Sanità, solo perché qualcuno si mette ad analizzare i dati dell'influenza suina per verificarne personalmente l'effettiva pericolosità, decidesse di colpo di non fornire più i dati. Ma che senso ha? La scelta di pubblicare dati è nobile di per sè e non ha nulla a che vedere con il controllo a valle degli stessi. Io potrei essere un ricercatore serio o uno che usa i gradi Richter per prevedere i numeri del lotto, e con questo? Anche la tesi dell'inutile allarmismo è debole perché censurare dati preziosi - e probabilmente generati con denaro pubblico - in favore di una più tranquilla ignoranza mi sembra uno scambio in perdita. E' vero che nessuno inventerebbe più teorie esotiche usando dati reali ma, visto che la buona scienza sopravvive solo con i dati mentre quella cattiva sopravvive con qualsiasi cosa, l'allarmismo semplicemente si sposterebbe su terreni più incontrollabili come il complotto, la superstizione, i segni dal cielo, le statue che piangono, i fondi di caffè ed altre manifestazioni di varia umanità. Per non rischiare di buttare via il bambino con l'acqua sporca, in genere, non si smette di fare bambini...

giovedì 19 agosto 2010

I Modà raccontano una storia tesa

Sicuramente c'è del misterioso e dell'incomprensibile in alcuni fenomeni. Uno tra questi è stato il singolare ed inspiegabile evento di questa estate per cui sintonizzandosi su una stazione radio qualunque in una fascia oraria qualunque di una regione italiana qualunque il risultato era sempre lo stesso: un'irreversibile e progressivo trito di maroni prodotto dai Modà. La canzone ti sorprende subito con un tocco di novità: il tic tac di un orologio. E vabbè, ma ecco che dopo poco parte la voce che, sulle sforzate tonalità di una stitichezza da ricovero, inizia a raccontare una storia travagliata. Eh si, la storia è tesa: lui è un fattore lucano e lei un'ecologista senza pregiudizi. Preoccupata del consumo energetico preferisce avere rapporti sessuali al buio. Purtroppo lui non è interessato all'ecologismo e la storia fatica a decollare. Pochi argomenti in comune e scarso dialogo fanno regredire la coppia a stadio neanderthaliano dove "sgrunt!" vuol dire proprio "sgrunt!". Il linguaggio impoverito porta alla comunicazione non verbale fatta di graffi e morsi. E che cavolo, tienile spenta 'sta luce no!? La storia prosegue senza possibilità di soluzione. Le mazzate sono tante e tutto per una abat-jour. Lei se ne va ma dopo quattro mesi torna per capire se si può passare al fotovoltaico. Niente. Nisba. Lui non ne vuole sapere. In un crescendo di emozioni forti la musica porta all'epilogo: un lampo, un tuono, bela una capra, è passato così poco e lui resta da solo. Tié, ti sta bene. Cosa avevi in comune tu con un'ecologista? Hai voluto fare di testa tua? Niente pannelli? Niente riciclaggio? Nemmeno una paletta eolica? Così impari.

sabato 24 luglio 2010

Veronesi, "noi" e "loro"

Leggo questa mattina su La Repubblica (http://www.repubblica.it/politica/2010/07/24/news/veronesi_nucleare-5790768/?ref=HRV-1) una breve ed interessante intervista che riguarda l'oncologo Umberto Veronesi. In estrema sintesi: il ministro Prestigiacomo gli offre la presidenza dell'agenzia per il nucleare, lui è tentato di dire sì, Bersani gli fa sapere che se accetta dovrà abbandonare l'incarico di senatore nel Pd.
Non voglio esprimere pareri sul nucleare ed ognuno a riguardo può pensare quello che gli pare. Ciò che ha stimolato il mio interesse è la posizione del Pd più che la scelta di Veronesi. A parte questioni marginali come il fatto che Veronesi sia stato eletto come indipendente ed ha sempre detto di non voler prendere la tessera di nessun partito, la mia domanda è: una volta che l'opinione di un governo è esattamente contraria alla tua ed una volta che la decisione è stata presa e le centrali si faranno, è più intelligente mettere a capo di un'agenzia di controllo un esperto di livello internazionale o il solito professionista di area governativa?
Certo, nessuno vieta a Veronesi di accettare, ma dirgli "se lo fai te ne vai" mi pare sottointenda un cortese "è meglio che tu non lo faccia". Ed arriviamo al nocciolo - appunto - della questione: la politica vive sulla contrapposizione, il bene comune no. Essere al contempo un esperto riconosciuto ed un esponente di una parte politica rende tutto più difficile perché puoi agire da esperto riconosciuto solo nel perimetro che la parte politica ha disegnato. Se esci dal perimetro dicendo semplicemente che, da uomo di scienza, vorresti tutelare la salute pubblica in una posizione molto delicata come la presidenza di un'agenzia di controllo sul nucleare, allora sei invitato ad andartene perché la tutela di un bene comune ammorbidisce troppo la contrapposizione politica. E adesso chi lo spiega all'elettorato che Umberto Veronesi è vegetariano e filo-nucleare? Non è più trendy così!
I partiti italiani non vivono di vita propria ma necessitano di un nemico. C'è sempre un comunista o un fascista nascosto in un armadio, in un comodino, sotto un pianoforte. Veronesi da questo punto di vista ha fatto una cosa gravissima perché in nome di un inutile vezzo chiamato "controllo della salute pubblica", ha ridotto le distanze con il nemico. Da oggi in poi, sono pronto a scommettere, che saranno in molti a trattare Veronesi come "il traditore". Per queste persone sarebbe molto meglio se l'oncologo rifiutasse sdegnato l'offerta permettendo che al suo posto si metta un signor nessuno - magari anche un po' amico - a tutelare la salute mia, tua, dei fascisti, dei comunisti, dei guelfi, dei ghibellini, dei Montecchi e dei Capuleti in nome della conservazione della distanza tra "noi" e "loro".
Ripeto: non ne faccio una questione di esaltazione o rifiuto del nucleare. Noto a tutti che ormai il nucleare si farà e noto a tutti che l'improvvisazione e la creatività italiana con il nucleare sarebbe meglio evitarle, io preferirei che le persone migliori occupassero i posti sensibili anziché giocare al "se parli con lui non sei più mio amico". Si chiama "sicurezza e salute pubblica" e non ha nulla a che fare con il "noi" e "loro".

sabato 26 giugno 2010

Forever iPhone

Chiariamo subito: sono tra quelli che pensa che la Apple sia una delle più belle ed appassionanti storie imprenditoriali e - nella persona di Steve Jobs - personali, mai esistite. Sono tra quelli che pensa che lavorare con strumenti di qualità sia cosa buona e giusta, ma che non sia scritto da nessuna parte che una cosa di qualità debba essere per forza brutta. Inoltre, da 17 anni sono un utente Mac pienamente soddisfatto che trova nei prodotti Apple tutto ciò che cerca racchiuso in un design che da sempre è un esempio di perfetta eleganza minimale. Detto questo, però, provo un certo fastidio nel vedere tante persone fare la stessa cosa quando l'unica ragione per farla diventa il timore di non essere abbastanza uguale agli altri. La paura di essere giudicato negativamente non perché stai facendo qualcosa di male ma perché NON stai facendo ciò che fanno tutti. Pensavo questo ieri mentre leggevo un'interessante statistica su chi comprerà l'ultimo iPhone 4. A quanto pare, su un campionamento effettuato in 3 città americane (San Francisco, New York e Minneapolis) il 77% delle persone che comprerà il nuovo iPhone 4 è già possessore di un iPhone. Più precisamente, nel 2008 questa percentuale era del 38% e nel 2009 era del 56%. E' vero che con il trascorrere degli anni questa percentuale non può che aumentare perché aumentando gli iPhone in circolazione aumenta anche il numero di proprietari pregressi ma è anche vero che l'età dell'iPhone è di soli 3 anni e quindi, o la Apple infila in ogni release di iPhone qualcosa di vitale importanza per la sopravvivenza dell'utente o l'utente iPhone si sta progressivamente rincoglionendo. Sarei più portato a pensare che sia vera la seconda ipotesi anche perché mi capita sempre più spesso di sentire al ristorante gente che comunica solennemente la fase lunare della serata o le previsioni del tempo in Lituania. Li vedi serissimi estrarre il loro iPhone, agire professionali sul display, attendere qualche istante con il volto illuminato in uno stato di quasi meditazione e dichiarare sicuri che negli ultimi sette secondi nessuno gli ha chiesto l'amicizia in Facebook. Wow! Potenza della tecnologia: lascia stupido chi è già stupido.

domenica 13 giugno 2010

La musica della Madonna

Ogni tanto sui media appaiono notizie che mi incuriosiscono, come questa presa dal Corriere della Sera del 13/06: "La discoteca cristiana in spiaggia: si balla con don Fiscer alla consolle" (http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_12/discoteca-cristiana-arenzano_4c118d50-75fa-11df-9eaf-00144f02aabe.shtml).

Nell'articolo si narra di come don Roberto Fiscer, 33 anni ex dj sulle navi da crociera ed ora vice parroco di Arenzano, abbia messo in piedi la prima "discoteca cristiana" sulla spiaggia dove - dichiara - si può "ballare con Gesù e la Madonna d'estate sulla spiaggia, divertendosi e pregando".

Ricordo che da piccolo, ogni tanto, con il mio gruppetto di amici si andava all'oratorio perché solo lì trovavamo, al bar, la spuma. Mentre noi ci divertivamo a coltivare una stoica tendenza al dolce far nulla punteggiato da goliardiche imprese e raffinate meditazioni sul sesso, all'oratorio ognuno faceva qualcosa. C'era chi giocava a pallone, c'era chi recitava, c'era chi organizzava lotterie e...c'era chi suonava. Quello che suonava la chitarra in chiesa non mi piaceva e non mi piacevano nemmeno le canzoni. Non dico che l'armonizzazione fosse sempre brutta ma i testi mi sembravano scontati e, alla fine, gli accordi erano sempre gli stessi. Dopo qualche anno, il ragazzo che mi stava antipatico che suonava la chitarra venne sostituito e, con mia sorpresa, notai che arrivò una band. C'era tutto: il batterista, il tastierista, il bassista, la chitarra elettrica e pure l'amplificatore! Pronto all'impatto sonoro e alla rivoluzione copernicana nei profumi d'incenso di una domenica a messa attesi l'attacco di batteria...uno...due...tre, bacchette rotanti e vai! E invece no. Nonostante fosse tutto pronto per una "Iron Messa Maiden", partì "Dove troveremo tutto il pane". Ma come! Prima c'era il chitarrista che mi stava antipatico e va bene, ma ora che ci sono questi capelloni unti e post-punk mi riparte di nuovo 'sta roba?

Col passare degli anni notai che, quella che poteva sembrare un'osservazione giovanile, in realtà, nascondeva una costante tipica della Chiesa cattolica. Sembra che la parola d'ordine da diversi decenni sia conquistare i giovani. Anche la pubblicità seleziona dei targets e selettivamente cerca di centrarli. L'unica differenza è che la pubblicità evita di dire ai targets che sono un target e, dopo averli studiati nelle abitudini e nei bisogni, dice loro esattamente ciò che vogliono sentirsi dire. Per la Chiesa, ovviamente, non può essere così. Prima di tutto perché non può "vendere" qualsiasi cosa bensì una sola e ben precisa. In secondo luogo, perché non può dire al target - cioè il giovane - tutto ciò che lui vorrebbe sentirsi dire. Diciamo quindi che, nell'ottica di una strategia di marketing, lo svantaggio di partenza è evidente.

In sintesi, quindi: la Chiesa si è messa in testa da un po' di tempo di andare alla conquista dei giovani. Per questo cerca di fare marketing. Non può però usare tutte le armi del marketing sennò andrebbe contro i suoi stessi principi. Risultato: nasce una forma di catto-marketing un po' curiosa e un po' naive che non si capisce bene chi voglia raggiungere. In pratica la fine logica soggiacente è la seguente: i giovani ridono? Ridiamo! I giovani ballano? Balliamo!

Uhm... strategia deboluccia. Dal mio punto di vista - e non voglio offendere nessuno - mi sembra un po' semplicistica l'idea che è sufficiente indossare la pelle del giovane per conquistare la sua fiducia. Chierichetti punk, preti con le Nike bene in vista, parroci dj che cantano 'Shake the devil off' e 'Gesù ti ama', gente che indossa magliette con stampati i Vangeli e Madonne e Bibbie in versione iPhone mi sembrano inutile ciarpame più autoreferenziale che altro. A parte la discutibile utilità dell'operazione e cioè parlare ai giovani con il linguaggio dei giovani - cosa vorrà dire questa frase non l'ho mai capito - mi sorge un dubbio: fare una "discoteca cristiana" serve di più a gente che ha la musica ma non ha una Chiesa o a gente di Chiesa che non ha la musica?

lunedì 31 maggio 2010

Le Grandi Scoperte

Giusto una riflessione. Ieri, il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi ha detto che "Gli evasori fiscali sono tra i responsabili della macelleria sociale in Italia", che "Tra il 2005 e il 2008 il 30% della base imponibile dell'iva è stato evaso: in termini di gettito sono oltre 30 miliardi l'anno, 2 punti di pil" e conclude che "L'evasione è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga". Sgomento in sala. Gli industriali presenti, colti da sincero sdegno, vergano nervosi sui loro blocchi la tremendissima parola: "evasione". Che scandalo! Che scempio! In Italia esiste questa roba chiamata "evasione"?!
L'altro ieri, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha detto che "Il costo dello Stato non è più sostenibile". Sgomento nella macchina statale. Ma come? In un mercato del lavoro dove il co.co.pro (pure laureato, mannaggia a lui!) è il contratto standard, è possibile che ora i riflettori si accendano su umili mega-stipendiati con lavoro a tempo indeterminato?

Ma niente paura perché a tempo di record abbiamo messo in piedi una manovrina mica male che gli inglesi (che "Giravano nudi a caccia di marmotte quando noi già s'uccideva Giulio Cesare", C. Guzzanti) ci invidiano. Sorge spontanea una domanda: visto che ci mettono così poco a stilare manovre coi fiocchi e visto che bastava informarsi non in tv per capire cosa stesse succedendo realmente all'economia italiana e mondiale, perché non l'hanno fatta prima?

In questo clima di surreale orgoglio italico, che si vanta delle toppe e non del vestito, non so se sentirmi maschiamente fiero o un tantino preso per il .ul. (consonante = c, vocale = o).

mercoledì 12 maggio 2010

Sempre loro...

Una delle cose belle di un blog sono i suoi lettori. Una delle cose belle dei lettori di un blog è che partecipano al blog. Uno dei più attenti lettori del mio blog è Moreno (aka Emmecola) che dopo aver partecipato ad un indimenticabile sketch di Otty&Fede, dopo avermi aiutato nella stesura di una statistica sulla non casualità del ripieno dei tramezzini nei supermercati, dopo avermi assecondato e stimolato nello sviluppo di un'innumerevole quantità di idee che invaderanno il mercato nei prossimi anni (ovviamente senza di noi come brevettatori) e dopo aver vissuto la magia di un anno di tesi a base di filosofia, cucina, musica, scienza e storie vere, ecco che mi invia un interessante articolo:



A' rieccole. Silenziose e infide si fingono interessanti agli occhi degli ingenui ricercatori. Questi pantagruelici quadrupedi sono riusciti a dissimulare - con spocchia e fastidiosa vanità - comportamenti degni di sistemi organizzati. Ma diamine, il solo fatto di passare gioiosi in auto e vedere queste cattedrali bovine in piedi ruminanti o squadernate senza grazia al suolo non significa certo che siano assimilabili a sistemi biologici ben più degni d'interesse quali api e formiche! E' vero che la matematica soggiacente al modello non sembra delle più raffinate - e ci mancherebbe pure! - ma il solo fatto di consumare prezioso glucosio per attivare funzioni cognitive atte all'elaborazione di un modello matematico che spieghi il perché di un comportamento che è solo un segnale di evidente fannullona mollezza non è giustificabile.
Gli autori, argutamente, notano che questi insidiosi mammiferi o stanno tutti in piedi o stanno tutti distesi e, per questo, ne ricavano un segnale di organizzazione. E già qui mi vien da chiedere è forse intelligente un animale che vive in questo modo? Ma gli stessi autori giungono ad una conclusione ancora più sorprendente: "Happy cows tend to copy each other". E qui non sono d'accordo. Copiare a volte è una scelta volontaria (= forma d'intelligenza) altre volte è una necessità (= segnale di non grande intelligenza). Secondo voi, felicità a parte, questi mammiferi chiamati "mucche" stanno nella prima o nella seconda categoria?
Io so la risposta...

lunedì 10 maggio 2010

Brindisi!

Notato come la Grecia sia sparita dai titoli dei giornali? Notata l'euforia? Sembra che tutto sia tornato normale. Le foto appiccicate accanto ai titoloni sono di gente sorridente davanti a trend positivi e la terminologia usa termini come "record", "brindisi", "avanti tutta". Vedendo tutta questa gioia verrebbe voglia pure a me di levare il calice ma poi mi chiedo a cosa stiamo brindando?

Siamo nel pieno di una crisi di dimensioni storiche che venti giorni fa tutti chiamavano recovery.
L'Europa sembra esistere solo perché esiste l'Euro che però bisogna sostenere sennò morirebbe.
Le borse mostrano strani crolli e recuperi nell'arco di dieci minuti e la scusa è che un operatore ha sbagliato a schiacciare un tasto.
Le proiezioni macro-economiche sono tutto tranne che entusiasmanti.
E gran finale...mettiamo sul piatto 750 miliardi di euro per evitare il fallimento di interi Stati. Da dove verranno questi soldi non è ben chiaro ed è interessante ricordare che prima di tirare fuori quella "misera" trentina di miliardi per salvare la Grecia è stato necessario attendere il rischio reale che l'Euro collassasse. Il mio sospetto è che sia solo una manovra anti-speculativa e forse neanche tanto utile visto che, mentre scrivo, l'Euro è a 1.272 sul Dollaro.
Ma tutto verrà fuori tra un po', quando i brindisi saranno finiti e i fumi dell'alcol svaniti.

Io, nel frattempo, continuo a leggermi notizie sulla Grecia e sul mondo reale.

venerdì 23 aprile 2010

Hai presente la Grecia?

La sensazione di distanza dalle cose è spesso un fatto mediatico: siamo più o meno preoccupati in funzione di quanto spazio e con quale tono l'informazione tratta un argomento. In genere, gli aspetti finanziari vengono percepiti abbastanza distanti dalle persone e ne è un esempio il fatto che venire a conoscenza di sprechi, sperperi se non addirittura furti di denaro pubblico non smuove le coscienze. La finanza annoia. E' un fatto. Ed è anche un male. Perché se è vero che non fa molto figo parlare di prodotto interno lordo e debito pubblico è anche vero che le società civili restano tali finché l'economia regge. Poi inizia il buio.
Come ho già detto in un post precedente trovo molto interessante seguire ciò che sta accadendo alla Grecia. Mi piacerebbe sapere di più su cosa succede a pochi chilometri dall'Italia, su cosa il governo stia chiedendo ai greci, su cosa stia succedendo all'occupazione, agli stipendi, ai servizi, ai consumi, alle pensioni, alla vita quotidiana delle persone. Ma queste informazioni ai giornali italiani arrivano nel solito tono tecnico-soporifero che non colpisce e non allarma. Tra queste notizie leggo oggi che il Primo Ministro Papandreou ha accettato di utilizzare il prestito di 45 miliardi di Euro messo a disposizione dalla UE e dal Fondo Monetario Internazionale. Non più di un mese fa l'aveva rifiutato orgogliosamente. Dunque?
Nel World Economic Outlook il Fondo dichiara "In the near term, the main risk is that – if left unchecked – market concerns about sovereign liquidity and solvency in Greece could turn into a full-blown and contagious sovereign debt crisis" ed Axel Weber, capo della Bundesbank rincara "A possible default by Greece would most likely be a severe economic blow for other countries in monetary union".
In pratica se la Grecia crolla scatena l'effetto domino quindi bisogna salvarla a tutti i costi. Ma non tutti gli Stati UE sono esposti in egual misura al suo debito e come reagirebbero i cittadini francesi o tedeschi nel apprendere d'un tratto che si devono accollare il costo del salvataggio greco? Ed una volta creato il precedente greco, si potrebbe negare poi lo stesso trattamento a tutti gli altri Stati in analoghe condizioni?
I prodotti derivati sono ancora tutti lì e quando la gente capirà cosa sono sarà il segnale che è già troppo tardi. Il poter disporre di informazioni su uno Stato europeo che sta passando in mezzo ad una crisi non così improbabile per altri Stati europei sarebbe molto utile. Ma i media preferiscono non far appassionare troppo le persone a questi argomenti perché, usando la stessa filosofia che anima un prodotto derivato, non importa se la gravità del problema crescerà esponenzialmente domani, l'importante è fingere oggi.

domenica 21 marzo 2010

Il bisturi dei distinguo

[...] "Secondo il pontefice c'è stata «una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali», che ha avuto come risultato «la mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona» [...] Il Papa ha raccomandato ai colpevoli un esame di coscienza, un «pentimento sincero», «preghiere e penitenze per coloro che avete offeso» e di fare «personalmente ammenda per le vostre azioni» (Corriere della Sera 20 marzo 2010)

"La Chiesa deve assumersi la sua parte di responsabilità, che gli autori (degli abusi) siano laici o religiosi non fa alcuna differenza. Tutti sono sottoposti al Codice penale svizzero, senza eccezione". (Doris Leuthard, Presidente della Confederazione elvetica, La Repubblica estratto da Le Matin Dimanche 28 marzo 2010)


Ci sono cose che dovrebbero mettere tutti d'accordo. Ci sono cose per cui tutti dovrebbero provare un solo, unico ed umano disgusto. Ci sono cose che non dovrebbero lasciare spazio ai distinguo, alla chiacchiera, all'analisi tecnica del foro da cui ora esce solo il fumo di uno sparo. Ma non è così. Nemmeno questa volta.

Prove documentali, vittime finalmente testimoni, reportage circostanziati che raccolgono tempi, modi, luoghi di una vergogna che il solo ascoltare ti fa venire voglia di girarti per non essere anche tu uno di quelli che guarda. E sei lì, tra la pubblicità di una bibita e di un'auto, mentre anziani signori raccontano di loro bambini, loro nell'istituto di Verona, loro sordi e muti costretti a fare la doccia con "quelli", loro che oggi guardano fissi la telecamera mentre la voce fuori campo legge i nomi di tutti quei "Don".

E poi i giornali che scrivono di altre storie, altri istituti, altri Paesi, altri "Don". Ci dovrebbe essere qualcosa che ci mette tutti d'accordo. L'assoluto disgusto è nell'atto, nella violenza vigliacca e disumana che per la personale soddisfazione istantanea distrugge i ricordi di chi un giorno avrà nipoti e a cui sentirà di mentire raccontando che il mondo è bello. Fa abbastanza schifo questo?

Eppure la sottile lama dei distinguo ha già iniziato a lavorare. Io stesso ho già sentito parlare di intrighi internazionali ed attacchi programmati. "Certo, alle vittime va tutta la nostra solidarietà, però...". Senti come lavora il coltello del distinguo? Affilate lame di "però" sezionano l'argomento per trovare chi c'è dietro, stanare il regista e portare a galla l'intento persecutorio. E fettina dopo fettina, le parole allontanano dalla realtà, il tempo dalle sensazioni. Piano piano, ciò che disgusta naturalmente l'Uomo diventa "argomento di dibattito", il senso di empatia si trasforma in "necessità di un'analisi obiettiva contro ogni strumentalizzazione".

Ma basta davvero questo per non provare vergogna? Perché non escono dagli uffici stampa e dal linguaggio felpato dei portavoce? Perché non chiedono alle vittime di aiutarli a ricostruire i fatti e ai giornalisti di raccontare ogni singola storia? Perché non forniscono alla giustizia terrena il materiale necessario per aiutarli a punire chi ha fatto così tanto male?

mercoledì 10 marzo 2010

Forever Young ed il Tasso di non-creatività

In quest'epoca di bassa fedeltà e altissimo volume
il rumore allucinante delle radio non ci molla mai;
e quanti cantanti musicisti arrabbiati
che farebbero meglio a smettere di fumare.
Brutta produzione altissimo consumo,
la musica è stanca, non ce la fa più,
e quante cantanti di bella presenza
che starebbero meglio a fare compagnia.
(Franco Battiato, La musica è stanca, EMI Records 1983)

Ascoltando la radio o guardando i canali musicali, ho la stessa impressione: la musica è stanca. Non è questione di qualità, non è questione di suono. Bionde ridens, adolescenti insulsi, lesbian-fake, esistenzialisti "de noi artri", punky-fashion, macho-teneroni e donne dal sedere enorme - che non ci sarebbe niente di male se non diventasse l'unica cosa che ricordi alla fine di un video - raggiungono qualità sonore notevoli grazie a budget stellari, ma la loro musica? Com'è la loro musica?

E' sempre difficile dare giudizi perché si rischia di cadere nel gusto personale ed essere poi presi per il nonno della situazione (..."perché sei un nonno!", anticipo il buon G prima che lo dica lui). D'altra parte, ogni epoca ha i suoi conflitti generazionali che vedono i genitori scagliarsi contro i miti dei figli dimenticando che dai loro genitori ricevettero lo stesso trattamento. Generalmente la regola è che il nuovo cantante è sempre peggiore di quello vecchio perché, detto sinteticamente, quello vecchio "sapeva cantare", quello nuovo è un "drogato analfabeta". Io vorrei evitare questo delicato modo di giudicare perché è lo stesso che ha portato a classificare come "mostri" gente che ha riscritto le regole musicali, toccando così forte milioni di persone da diventare colonna sonora di una vita oltre che segno indelebile di un'epoca.

Quindi? Come se ne esce? Come sta la musica oggi? Secondo me c'è un modo per capire lo stato di salute della musica. E' un metodo obiettivo perché non riguarda il gusto personale ma solo dati misurabili. Introduco due semplici parametri:

1. Numero assoluto di cover prodotte annualmente (CPA)
2. Tempo che intercorre tra l'uscita del brano originale e l'uscita della sua cover (TOC)

Di questi tempi si noterà come il primo parametro (CPA) aumenti mentre il secondo (TOC) si riduca. Cioè, ogni anno ci sono sempre più cover che ripropongono brani originali sempre più recenti. Dividendo il primo per il secondo (CPA/TOC) si può ottenere una sorta di Tasso di non-creatività - tristemente crescente negli ultimi anni - che esprime il nostro progressivo allontanamento dal piacere di essere speciali perché capaci di creare cose che prima di noi non esistevano.

Chiarisco subito: il problema non è fare cover. Il problema è che oggi tutti fanno cover e, ad onor del vero, spesso non sono nemmeno granché. Ma la domanda sorge spontanea: perché il sottoscritto, in una bella mattina di marzo, decide di investire parte del suo amato tempo per scrivere un post sullo stato della musica oggi? Prima di tutto perché mi diverte un sacco e in secondo luogo per una ragione affettiva. Qualche tempo fa scrissi che la musica degli anni '80 è stata tanto brutta quanto indimenticabile. Come testimone adolescente di quel periodo, sento quella musica come parte di me, esattamente come i cartoni giapponesi, il Commodore 64 e la voce di Dan Peterson. Volente o nolente, amandola ed odiandola, non ci posso fare nulla e me ne accorgo appena partono le prime note di una canzone dei Culture Club, dei Duran, degli Spandau, di Howard Jones o dei Talk Talk.

Questo breve e sentito preambolo è solo per far capire il mio stato emotivo quando ho sentito la cover non di Hendrix, non dei Pink Floyd, non dei Beatles ma... degli Alphaville, Forever Young. Giocano facile Jay-Z e Mr Hudson perché pompare di bassi e rappare un brano come questo significa ridurre al minimo il rischio di non vendere. E' curioso notare come molti di questi "Yo-man!" testimonials di storie d'infanzia difficile, di rischio e rivalsa, di coraggio che non si piega e non si spezza, di vittoria sul duro ring della vita ed un passato che ancora ulula da lontano optino poi per operazioni commerciali che manderebbero primo in classifica anche il mio orsacchiotto.

Jay-Z a parte, ascoltando mesto e rassegnato la cannibalizzazione di Forever Young, mi chiedevo: se il mio passato ha per istantanee canzoni originali, quale tipo di passato avranno gli adolescenti di oggi. Cover? Credo di no per una ragione molto semplice: con un Tasso di non-creatività in crescita esponenziale, l'emivita di una cover è infinitamente inferiore a quella di un brano originale. In questo mercato devi mangiare masticando veloce, digerire in fretta e dimenticare ciò che hai appena ingerito sennò non possono vendertelo di nuovo. Il passato è un lusso per pochi.

Chissà cosa succederà tra qualche anno. La musica sta diventando sempre più ciò che le si costruisce intorno. Le vite finte dei cantanti finti, i mega-show visibili dalla Luna, le interviste con rissa ed i party-orgia con la pistola, la coca che così fan tutti e la noia che fa snob. L'istantanea dei ricordi che in questo esatto secondo si stanno formando ha per colonna sonora una cover. E domani cosa sarà? La cover di una cover? "Bassa fedeltà ed altissimo volume", la musica è stanca ed il Tasso di non-creatività non perdona. Io mi riascolto Forever Young, quella degli Alphaville e mi tengo ben stretta la mia brutta musica indimenticabile.

sabato 6 marzo 2010

L'anno che verrà

"...unificando lo spazio monetario, sono stati rimossi tutti i confini economici. È così che non ci sono più confini tra il bilancio di una banca residente in uno Stato e il bilancio della banca controparte residente in un altro Stato. È così che non ci sono più confini ma travasi tra debiti, deficit e default delle banche e degli Stati. L'esposizione della core Europe verso la Grecia è limitata. Ma l'esposizione della core Europe verso i Paesi che a stella la circondano è, contando i connessi derivati, pari ad alcuni «trilioni» (!) di euro."

L'avete trovata la parolina? E' così piccola che passa inosservata ma è lì, sotto gli occhi di tutti: "derivati". Nel mio penultimo post parlavo proprio di CDS che altro non sono che "prodotti derivati" e le tranquillizzanti parole riportate qui sopra non escono dalla mia tastiera ma da quella di Giulio Tremonti che oggi, 6 marzo 2010, scrive al Corriere della Sera. La lettera, come la maggior parte delle lettere di carattere economico, non svolge alcuna funzione di utilità pubblica se non quella di descrivere, con la prosa erudita e severa del nostro Ministro delle Finanze, la non rosea situazione internazionale dal suo punto di vista. E' interessante notare come il Ministro non si soffermi su nulla in particolare né, tantomeno, spieghi le ragioni pratiche per cui ci troviamo in questa situazione e, al contrario, prosegue in questo modo:

"È il frutto avvelenato dell'«età dell'oro». Di un oro non reale ma virtuale, che negli anni passati molti hanno fabbricato e trafficato e di cui molti in tutta Europa hanno a vario titolo goduto, facendolo circolare a mezzo di cambiali mefistofeliche. Oggi, venute a scadenza quelle cambiali, non si può escludere che la crisi della periferia, drogata dall’eccesso di finanza iniettata dal centro, resti circoscritta alla periferia e non ritorni invece come un boomerang verso il centro evidenziando, in una catena di shock, perdite sistemiche negli «attivi» iscritti nei bilanci delle banche controparte. Le colpe passate e i doveri attuali non sono certo uguali, da banca a banca e da Stato a Stato. In particolare, i doveri degli Stati in crisi sono e devono restare assoluti, ma ormai la responsabilità è di tutti."

Come dicevo, la lettera non spiega nulla ma, proprio come un risultato negativo in un esperimento scientifico è comunque un risultato, il non dire nulla da parte di un Ministro in una lettera ad un quotidiano è dire qualcosa. A mio parere è interessante il rapido passaggio che vede la bomba pronta ad esplodere dei prodotti derivati trasformarsi in poche righe in prodotto demoniaco ed infine "responsabilità di tutti". Ehilà, che fretta! Colpa mia non è. Fino a prova contraria sono i governi e le grandi banche d'affari a progettare, implementare ed accettare un gioco che non può che finire male come quello dei CDS. Chiedete ai greci oggi se è loro la responsabilità di un meccanismo di raffinata ingegneria finanziaria che ora porta il loro governo a strangolarli per non essere buttato fuori dall'Europa. Ripeto, scrivere una lettera senza spiegare tecnicamente le ragioni di una crisi prevedibile, i possibili scenari futuri e le modalità per tutelare i risparmi dei cittadini non è molto utile e forse avremmo tutti bisogno di lettere che parlino chiaro piuttosto che di epistole tanto erudite quanto noiose.

Anche perché, in mancanza di ciò, gli unici scenari predittivi che abbiamo sono due: il primo è la Grecia. La Grecia è l'avanguardia di ciò che potrebbe succedere alla Spagna, al Portogallo, all'Irlanda e a noi. Quindi, se voleste vedere l'evoluzione pratica di un disastro annunciato, cercate di seguire le notizie internazionali sulla Grecia dato che sui nostri giornali l'argomento non è considerato tanto "hot". L'altro scenario predittivo è quello di un Paese di cui nessuno parla perché a parte i geyser e Björk non è molto famoso: l'Islanda. Quasi nessuno sa che oggi, sabato 6 marzo 2010, in Islanda si vota un referendum per stabilire se il popolo ritenga giusto o meno rifondere il debito contratto verso Inghilterra e Olanda. Il governo è obbligato a farlo ma buona parte della popolazione pensa di non essere responsabile di un problema generato da addetti ai lavori finanziari. Se passasse il "no" il governo probabilmente crollerebbe e sul futuro non basterebbero più lettere ai giornali. Stay tuned.

martedì 2 marzo 2010

L'occhio

Accesa di rosso la spia delle cinture
E' di fuoco la linea perfetta
Sopra, il mondo irregolare.
E sotto, le nuvole del buon umore.

Oltre il cielo c'è solo tempo.
Ancora tre minuti
Ed un bordo di plastica
Diventa luce arancione.

Raggi radenti di risveglio
E all'improvviso la neve
La sorpresa
E i laghi sono verdi.

Il codino di un rotore è pitturato di rosso
E mentre osservo d'un tratto
Come un'iride esplode
Una goccia di ghiaccio.

Polvere di cristallo
In cerchio
Veloce si organizza
Ed il sole che gli nasce dentro.

Per un solo istante,
Nel cielo di Zurigo
Da un finestrino
Mi ha guardato l'alba.

martedì 9 febbraio 2010

Gettare l'amo in acqua

Quando decido di farmi un'opinione su qualcosa, cerco prima di tutto i numeri. La seconda cosa che faccio è interpretare non le notizie ma il modo in cui vengono date. Perché? Perché in funzione del "come" viene data una notizia si riesce a pilotarne le reazioni. La notizia potrebbe essere buona o cattiva, importante o insignificante, ciò che conta però è l'effetto che genererà nel lettore. E' fondamentale creare una specie di attrazione emotiva perché in questo modo si genera una corrente empatica tra l'informatore e l'informato che si sentirà parte di un gruppo che gioisce, si sdegna, s'indigna, discute. In questo modo tutto è salvo: la libertà d'informazione è preservata, l'interesse del pubblico è mantenuto, i contratti pubblicitari continuano ad essere firmati e i politici non protestano. C'è un solo "prezzo" da pagare: pienamente soddisfatto nella tua curiosità morbosa, nella tua (in)civiltà da comune cittadino, nella tua bonaria accettazione dell'umanamente inaccettabile resti ora e sempre un mediocre, prevedibile, perfetto ignorante.

Una delle cose che, in effetti, si deve evitare come la peste è rendere edotto il pubblico. Non si deve dare un'informazione chiara e puntuale. Non si devono dare strumenti oggettivi per capire ciò che sta accadendo perché - ormai è cosa nota - se tu anziché regalare i pesci insegni a pescare, il pescatore, prima o poi, smette di seguire quello che dici. E poi come si fa a vendere altre patacche? Come si fa a convincere qualcuno a darti voti, soldi, attenzioni ed applausi quando capisce che buona parte del problema sta proprio nel darti retta?

E allora devi dare un'informazione dolce, per la famiglia, per la gente che la sera a casa si vuole rilassare e non certo preoccupare. Ma visto che sei arrivato a leggere fin qui, la vuoi vedere una cosa sgradevole? Così sgradevole che ancora nessuno ti ha mostrato? Eccola:



Questo grafico dice tante cose: dice che il debito pubblico di stati europei come Spagna, Portogallo e Grecia sta crescendo; dice che in rapporto al proprio prodotto interno sta crescendo così tanto che si fa fatica a venderlo; dice che per poterlo vendere bisogna garantirne la solvibilità stipulandoci sopra delle assicurazioni; dice, infine, che il costo di queste assicurazioni è fuori controllo.

Oggi, ieri, domani... quanti giornali ti hanno "spiegato" questa cosa? Nessuno. E perché non l'hanno fatto tenendoti ben lontano dal capire quello che sta succedendo? Per una ragione semplicissima. La stessa ragione che, forse, hai già notato anche tu guardando il grafico. Quale altro stato dell'Unione Europea ha un rapporto debito/PIL spaventoso?

Lo hai capito, vero?

Ok, allora guarda qui sotto l'ultima cosa che non dovresti vedere e poi, quando ti diranno che le cose stanno migliorando, non fare caso a quello che dicono ma al "come" lo dicono.

(The Economist, Nov.2009)

giovedì 4 febbraio 2010

Il prezzo

Se mi voglio informare non ho che da scegliere. Posso farmi un'idea su qualunque cosa. C'è un programma di approfondimento, gli ospiti in studio ed un bel dibattito. E parlano, commentano, analizzano ed a volte alzano la voce perché se la prendono a cuore. Per me. Per me che devo capire, imparare e decidere. Bella la libertà d'informazione. Soprattutto quando non è noiosa. Quando è tutta colorata e la gente parla così bene che ti convince. Non devo fare nulla. Solo sedermi ed ascoltare e domani in ufficio farò un figurone quando dirò le stesse cose del politico, dello psicologo, dell'opinionista che parlano questa sera. Anche io voglio alzare la voce. Far vedere che me la prendo. Perché non è importante se quel bambino nemmeno lo conoscevo. "Non si può restare indifferenti". E' vero. Io mi arrabbio davanti allo schermo e a volte dico le cose ad alta voce così le faccio sentire a tutti. Stasera però mi sono addormento e quando ho riaperto gli occhi tutto era finito. C'era una televendita e tutti sorridevano dietro quel tappeto appeso al muro. Ma a me un po' dispiaceva perché non so niente di come è andata, dei particolari intendo, di come l'hanno ucciso. Ora vorrei andare a letto ma non ho più sonno. Ho spento la televisione e fuori nel cortile c'è solo silenzio. Che strano. Sembra che non sia successo nulla. Dov'è tutta quella storia, quella rabbia, quelle parole perfette? Provo a riaccendere la televisione, la spengo, la riaccendo di nuovo. Nulla. Sembra che sia lei a decidere. Se lei vuole io mi arrabbio. Se lei vuole io rido. Se lei vuole io...io... Io. Comincio a non avere più voglia. Non mi piace che adesso tutti dormano così. C'è qualcosa di sbagliato e adesso sono nervoso. Resto ancora un po' a guardare la tenda bianca che si muove sul cortile scuro. Sono le 2:23. La luna si riflette sul tetto della mia auto.

lunedì 25 gennaio 2010

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Corriere della Sera (25-01-10):
- Bevono l'acqua santa e finiscono 
in ospedale: 117 ricoverati in Siberia
- La prof: «Basta vita da precaria, mi do al porno»
- Non si presenta in tribunale, arrestato "Arnold"
- «Rottura tra Pitt e 
la Jolie? Tutto falso»
- Body scanner e protesi al seno: rischio privacy
- «American Idol», scartato e ammanettato
- Meteorite sfonda 
lo studio di due medici
- Eros e Michelle complici in tv 
Ritorno di fiamma?
- Un gioiello particolare: un insetto vivo
- Scandalo 
in Belgio, 
la Miss calpesta la bandiera

La Repubblica (25-01-10):
- Occhi e mani
 le parti del corpo
 più cantate
- "Possibile mandare a quel paese i vigili"
- Il vero Serpico fa l'eremita in una capanna
- Pista, in sella c'è Opee
 il cane che fa motocross
- F1, passione senza confini
 la Mercedes è di marmo
- Ape Car, show mondiale  
tre ruote sul ghiaccio
- Parigi, ultimo atto
 l'uomo è in gonna
- Eros e Michelle brivido in tv 
insieme ma solo per lo show
- "Io, Moretti e la ciabatta" 
in Darkroom c'è Santamaria
- Dior in contro tendenza
 lo stile è da funeral party
- Vendetta dell'amante tradita
 i manifesti a Times Square
- Raro, giovane e vanitoso il lupo appenninico si fa fotografare

venerdì 1 gennaio 2010

Forti e gentili


Il purista mi dice "ma questo non è un torrone!". E' vero ragazzo: questo non è un torrone. Questa è una piccola opera d'arte. Il torrone Nurzia si trova sotto due differenti marchi: Le Sorelle Nurzia ed I Fratelli Nurzia. Cosa sia successo in famiglia non l'ho mai capito. Quello che so è che i sapori sono leggermente diversi ma il concetto, la produzione e lo stile sono pressoché identici: due sottili ostie semitrasparenti a contenere il cuore di una pasta morbida al cacao puro e nocciole.

Per chi non lo sapesse, questa bontà è prodotta a L'Aquila. L'Aquila era una bellissima città abruzzese che una notte di qualche mese fa è stata svegliata dal rumore dei muri delle case che si aprivano come cerniere lampo. In pochi minuti, l'ordine, la bellezza e l'armonia è diventata maceria e morte. Ciò che l'Uomo aveva ideato, disegnato, progettato, costruito, cesellato, impreziosito centinaia di anni fa è tornato al suo stadio primario. Polvere. Ma gli abruzzesi sono gente forte, gentile e, soprattutto, dignitosa. Niente sceneggiate per il pubblico pagante. Niente dolore da baraccone. Niente illusioni a basso costo. Da queste parti non c'è pane per i denti affilati della televisione.

I mesi passano ed arriva Natale 2009. L'Aquila è ancora lì, anzi è ancora non lì. Ma gli Aquilani ci sono, eccome se ci sono. Un terremoto? Basta forse un terremoto terribile e devastante per contenere la forza di conservazione di una tradizione? Ma non scherziamo. E la produzione riparte. Esattamente come prima, niente spot, niente proclami. Ma se lo vuoi lo devi cercare.

Sono a Singapore seduto al tavolo da pranzo. Per la trentottesima volta in trentotto anni, mi ritrovo ancora a scorrere il dito sulle lettere liberty in rilievo della piccola scatola gialla. Casa fondata nel 1835...