venerdì 22 ottobre 2010

Lettera spedita alla segreteria di redazione del Tg1

Buongiorno,
Vi scrivo alle 14.00 del 22 ottobre, al termine del Tg1 per raccontarVi come mi sento e cosa sto pensando del Vostro telegiornale. Pochi minuti fa stavo pranzando quando è iniziato l'immancabile, quotidiano aggiornamento sul delitto di Sarah Scazzi. Detto molto sinceramente mi sono sentito a disagio mentre, mangiando come tante altre persone a quell'ora, ho sentito leggere gli atti delle dichiarazioni del presunto omicida che ricostruiva nei minimi dettagli l'accaduto. E quando il conduttore del telegiornale ha esortato i telespettatori che avessero dubbi o semplici curiosità sulla vicenda a scrivere o telefonare alla trasmissione di approfondimento delle ore 16.00, il mio disagio si è trasformato in schifo. Come si può esortare la curiosità delle persone verso un omicidio? Come si può trattare un delitto come fosse un evento di costume? E, infine, come si può non avere delicatezza verso chi ha perduto qualcuno di caro in circostanze come queste? Immagino quale sia la Vostra risposta. Forse mi direte che, a giudicare dagli ascolti, è questo che la gente vuole vedere. Probabilmente avete ragione ma io penso che l'informazione pubblica non dovrebbe rincorrere la parte più brutta di noi. Semmai, è proprio in queste situazioni che si dovrebbe contrapporle sensibilità e rispetto. I parenti di quella ragazza non valgono meno dei milioni di persone che vogliono notizie sempre più raccapriccianti e particolari sempre più macabri. Caricare la curiosità più morbosa del pubblico durante un Tg per poi soddisfarla nelle trasmissioni di approfondimento dove gli spazi pubblicitari magari costano di più. E' questo il meccanismo? Se la risposta fosse negativa, Vi faccio una proposta. Perché le entrate pubblicitarie prodotte dalle "trasmissioni di approfondimento" su questa vicenda non le donate alla Signora Scazzi? Almeno le paghereste il dolore nel vedere ogni giorno lo spettacolo triste di sua figlia in televisione.
Distinti saluti.

lunedì 4 ottobre 2010

I problemi sono altri, cioè quelli, e ci siamo capiti (Terza parte)

Ma perché mi è venuta voglia di parlare di questo argomento? Qualche giorno fa seguivo un programma di approfondimento politico quando un noto imprenditore italiano, dopo aver ascoltato il rappresentante del governo e quello dell'opposizione parlare di società off-shore, paradisi fiscali, scoop pilotati, giornalisti misteriosi, lotte di potere e marciume vario , se ne esce con la fatidica frase "Va bene ma, a parte tutti questi argomenti che non appassionano certo gli italiani, perché non parliamo dei veri problemi del paese?". In prima battuta, l'intervento dell'imprenditore mi era sembrato sensato: continuare a sentire questi due accapigliarsi sull'accusa e la difesa di un sistema che in altri paesi avrebbe già mandato tutti a casa mi stava infastidendo. Ma poi, mi sono chiesto, perché tutti questi argomenti non dovrebbero appassionare gli italiani?

Io forse faccio parte di uno strano gruppo di italiani ma a me ciò che i miei governanti fanno fuori dal parlamento interessa. E perché non dovrebbe? Proprio come quando lo stimato ingegnere, primario, architetto, avvocato, manager o imprenditore effettuando aggressive evoluzioni in autostrada con il suo rombante monolocale biturbo, dimostra prima di tutto di essere un incivile e solo in un'ultima istanza - e come aggravante - un professionista, così il politico, prima di essere uno strepitoso governante, dovrebbe essere un cittadino per bene. Questo ragionamento non farebbe una grinza se non fosse che ormai per gli italiani tutto ciò che non accade in parlamento è solo vita privata e, in un misto di garanzia della privacy all'amatriciana e cattolicissimi non scagliare mai la prima pietra, si permette a chiunque di candidarsi, essere eletto e trasformare i suoi vizi privati in pubbliche virtù. E più condisci di ironia le tue marachelle, più sbandieri la tua tendenza all'eccesso, alla cafonaggine e alla furbizia con un cipiglio da simpatica canaglia e più le persone ti percepiscono come quello sveglio che però è anche vicino, accessibile e, forse un giorno, emulabile. Evviva quindi il ganassa di tutti noi, il compagnone che ce l'ha fatta, l'uomo che, nonostante il suo carico di grande responsabilità, è simpatico e ci regala allegri momenti del quotidiano che, vabbè sarà pure imperfetto, ma non sottilizziamo perché questa è la sua vita privata e i veri problemi sono altri.

Ecco, io di fronte a questa commedia non reggo. Visto che non mi sento diverso da un danese, da un austriaco o da un inglese, non capisco perché dovrei accontentarmi di affidare la gestione della cosa pubblica - cioè anche mia - e i soldi pubblici - cioè anche miei - a qualcuno che cade sui fondamentali. Se hai già dimostrato di saper delinquere o, nella migliore delle ipotesi, se da anni dimostri di non saper fare assolutamente nulla perché dovresti rappresentarmi?

sabato 2 ottobre 2010

I problemi sono altri, cioè quelli, e ci siamo capiti (Seconda parte)

Chi ama usare il giochetto "I problemi degli italiani sono altri!"? A differenza di quanto sostenuto da mygenomix (vedi commento alla Prima parte) che ritiene sia d'uso e consumo delle opposizioni in quanto esenti da responsabilità, io verifico ogni giorno che il trucco è usato bipartisan. Ho sentito proprio oggi esponenti di partiti di governo ed opposizione darne sublime prova. Il trucco è amato perché permette all'opposizione di dimostrare che il governo non è in grado di risolvere i problemi del paese e al governo di dimostrare che, dato che i governi passati hanno lasciato loro in eredità situazioni disastrose, ora non hanno colpe e stanno, comunque, lavorando per noi. Insomma, con la stessa frase si ottengono effetti favolosi. Sempre.

Ma c'è qualcosa di più. Quando si dice che i problemi che interessano gli italiani sono altri e quando gli interessati producono solennemente quel tipico movimento verticale del cranio che in occidente significa "Sì, sono d'accordo" non viene il dubbio a qualcuno che non si abbia la minima idea di che cosa si sta parlando? Tralasciando l'ovvia argomentazione che potenzialmente ogni italiano può dare alla parola problema una sua connotazione e quindi parlare genericamente di problemi degli italiani è non dire assolutamente nulla, la mia domanda è: ma gli italiani sanno davvero quali sono i problemi degli italiani?

Gli italiani hanno un'idea di cosa stia succedendo al paese sotto l'aspetto economico, industriale, energetico, ambientale? Perché io ho il vago sospetto che a forza di essere tranquillizzati nel sentire che ci sono dei problemi che tutti conoscono e qualcuno ci sta lavorando, poi non interessi più quali essi siano. E' come sapere che un cane fa la guardia da tempo immemore ad un cancello ed il solo fatto di sentire un "Bau!" ogni tanto ci distolga dal verificare se il cancello sia aperto, chiuso o se esista ancora un cancello. Non basta protestare contro le tasse troppo alte o l'assenza di posti di lavoro. Queste sono conseguenze di anni di ignoranza tranquillizzata da estemporanei "Bau!". E non basta continuare a dire che "I problemi degli italiani sono altri!" perché finché non si spiegherà agli italiani quali sono questi problemi e gli italiani non inizieranno a consumare un po' di energia per capire e giudicare arriveranno presto altre conseguenze contro cui protestare. Ma saranno solo conseguenze di problemi. Non IL problema.

E siamo arrivati al punto. Perché permettiamo a questa gente di fingere di stare dalla nostra parte e sentirci per questo soddisfatti fino alla prossima puntata? Quello che noto io in Italia è che si è passati da un principio di rappresentanza ad un principio di totale ed assoluta delega. Sei un politico? Allora devi sapere le cose al posto mio così io evito di farmi un mazzo così per studiarle. Un esempio? Il referendum. Il senso di fastidio che attanaglia la maggior parte degli italiani quando devono onorare il diritto della democrazia diretta dimostra quanto piaccia il masochismo. E la brillante tesi è: i politici sennò che ci stanno a fare? Semplice: ad ammirare questo antico e glorioso popolo che docilmente si flette con geometrica angolazione di 90°.

Quindi, ricapitolando: siete sul bus, al bar o tra amici? Usate questo fantastico trucchetto! Concludete sempre con un criptico "Eh, ma i problemi degli italiani sono altri!" funziona sempre, farete un figurone e tutti saranno d'accordo con voi. Ma attenzione: non dite mai quali sono questi problemi perché a loro basta sapere che qualcuno sa che loro sanno di sapere. E ci siamo capiti.

venerdì 1 ottobre 2010

I problemi sono altri, cioè quelli, e ci siamo capiti (Prima parte)

C'è un vecchio trucco dialettico tanto amato dai politici che, personalmente, trovo tanto efficiente quanto fastidioso. E' il trucco dell'interrompere qualsiasi tipo di discussione con il classico "...ma i problemi sono altri!". Le varianti multiforme sotto cui, pernicioso, si traveste possono essere:
- "Le priorità del nostro paese sono altre"
- "Ciò di cui parlate non appassiona gli ascoltatori"
- "Gli italiani non pensano a queste cose"
- "Anziché litigare su questi argomenti dovreste pensare ai veri problemi dell'Italia"
Questa tecnica è vecchia come il mondo perché è perfetta (e mi spiace per chi ha assentito ad ogni variante) per un popolo cialtrone. Non ne posso più di sentire politici che dichiarano di conoscere quali siano i problemi importanti per gli italiani perché se lo sapessero davvero li avrebbero già dovuti risolvere. Quindi i casi sono due: o li conoscono e non li sanno risolvere o non li risolvono perché non li conoscono. Quale preferite?
Ma torniamo alla suddetta tecnica: perché funziona così bene? Funziona perché in un istante crea il gruppo, accomuna sconosciuti che d'un tratto si sentono chiamati in causa, rispettati nel vago sentire e stimolati nella loro generalizzata incazzatura. Usare questa tecnica è come lavorare sui grandi numeri, sparare sulla folla e, colpendo qualcuno, sostenere di essere degli infallibili cecchini. Ogni volta che si afferma "dovreste pensare ai veri problemi" si dice tutto e quindi nulla perché si crea uno spazio vuoto che ognuno può riempire con il suo specifico problema o la sua specifica ignoranza. Tutti sono d'accordo se si cambia il livello di zoom e risalire fino alle classi più generali aumenta il consenso. Se dico che l'ambiente dev'essere salvaguardato tutti sono d'accordo ma se dico che domani ti costruirò un smaltitore di rifiuti sotto casa il consenso cambia. Se dico che la mobilità è importante tutti sono d'accordo ma se domani un binario di treno, un aeroporto o un pilone dell'autostrada appariranno davanti al tuo balcone il consenso cambia.
Ma la forza di questa tecnica non è solo legata al creare gruppo. C'è qualcosa di più. La forza di questa tecnica permette all'effimero club degli scontenti di essere e restare tali senza fare nessuna fatica. Con in più la certificazione dall'autorevole personaggio pubblico di turno. Che bella sensazione di calda intimità potersi accoccolare nel proprio strisciante senso di insoddisfazione con qualcuno che ti rimbocca le coperte! E poi vuoi mettere: al bar, al mercato, sull'autobus anche tu puoi sfoderare il tuo "Ma non sono questi i veri problemi!" e come attivando una connessione bluetooth ti ritrovi circondato da tanti dispositivi annuenti che ti rendono re per un giorno. E senza fatica! (NdA: ovviamente mi rifiuto di considerare la tesi di coloro che pensano che la gente non debba avere opinioni precise perché per questo ci sono i politici. Non amo perdere tempo).
Diffido quindi da chi utilizza o subisce passivo questa tecnica perché, sotto un'apparente necessità di sintesi, nasconde spesso ricerca di facili consensi e tanta pigra ignoranza. C'è un problema da risolvere? Lo risolvi. Non sai bene quale sia il problema? Studia.