lunedì 7 novembre 2011

Adieu, Gabry

Più che una crisi di governo sembra l'Epopea di Gilgamesh e l'Orlando Furioso mixati sapientemente con General Hospital. In un momento in cui un intero paese sta mostrando la sua parte più debole e reale, accumulata nei decenni da una cultura del navigare a vista senza programmazione né parsimonia, dall'informazione emerge che il premier si dimette ma forse no, che la maggioranza non c'è più ma forse no, ma soprattutto:

1. Che la Carlucci abbandona il suo partito perché "Gli voglio bene!"
2. Che Crosetto dice che è una "Testa di c#££o" perché "Gli voglio bene!" (..e due)
3. Che Berlusconi resta perché "Voglio guardare in faccia i traditori!" (..quanto ci scommettete che in aula diranno che gli votano contro perché "Ti vogliamo bene!")
4. Che La Russa sa parlare il tedesco

Direi che in un momento in cui si sta perdendo la fiducia proprio di coloro che dovrebbero acquistare il nostro debito pubblico, questo è il miglior modo per convincerli del tutto. Ed a ben pensarci non poteva che finire così.

Ma resterà l'ultimo fotogramma. Una lacrima sul viso di Gabry a suggellare l'amara decisione. Un soffio di vento porta via le foglie del viale, ancora uno sguardo tra la sciarpa ed i ricci biondi. E "Adieu Gabry, adieu". Grazie per questa emozione. Buio in sala e poi solo...

Pubblicità.

Ma cosa è diventato questo paese?

giovedì 27 ottobre 2011

Assuefazione ricorsiva

"Non è che gridiamo allo scandalo solo per salvarci la coscienza?". Su questo amletico dubbio, Aldo Grasso ci avverte oggi dal Corriere della Sera che forse - ma solo forse, eh - ci stiamo abituando al dolore. Timidamente, con una cravatta a righe orizzontali in accordo perfetto con il suo commento monotonale, solleva l'argomento a cui nessuno aveva mai pensato. E con la ricorsività che è propria della tv che parla di sè stessa, mentre ci rivela che il dolore è ormai palinsesto quotidiano, alla sua sinistra scorrono le immagini del linciaggio di Gheddafi e della morte in pista di Simoncelli. Complimenti.

L'effetto di riflessioni come questa è sempre lo stesso: un significativo "ha ragione". E poi si ritorna a seguire speciali Rai o Mediaset sui delitti più efferati perché è così che ci si fa un'opinione ed è così che ci si sente dalla parte dei giusti e dei buoni, di quelli che si scandallizzano tutti insieme, di quelli che ne possono poi parlare agli amici o al lavoro. Voyerismo. Solo curiosità asettica, quella senza rischi che tanto se guardi dal buco della serratura nessuno se ne accorge, non senti l'odore del sangue o della paura e non senti nemmeno più che il dolore altrui esiste in televisione per vendere pubblicità.

E se domani quel dolore ad uso altrui fosse proprio il tuo? Se accendendo la televisione, giorno dopo giorno, ti accorgessi di essere diventato un Truman Burbank, che vive nel proprio mondo reale mentre gli altri osservano, morbosi e curiosi, il tuo comportarti da essere umano.

Ti chiederesti ancora: "Non è che ci stiamo abituando?".

giovedì 6 ottobre 2011

Think different.


Molti anni fa, condividevo la terrazza di casa con un amico ingegnere elettronico. Volevo acquistare un computer e lui mi disse: "Perché non prendi un Mac? E' fatto meglio degli altri ed ha un ottimo sistema operativo. Ed è anche bello!".
Ecco, a me questo "Ed è anche bello!" mi si è appiccicato addosso. Non avevo le conoscenze tecniche per capire se un computer fosse davvero meglio di un altro. Però ero in grado di capire cosa fosse bello. Mosso, così, da puro senso estetico, acquistai il mio primo Mac LC e da quel giorno cominciai a fare caso al bello e mi domandai: Perché non costruiscono tutti cose belle?
Dopo un po' di tempo, dovetti cambiare la RAM e il disco rigido all'altro computer che avevo in casa, un (brutto) PC. Una volta aperto il case mi colpì tutto quello spazio inutilizzato, i riccioli di polvere, le matasse di cavi avvolte disordinatamente tra loro. Nello staccare lo spinotto di alimentazione del disco rigido, poi, mi tagliai. Allora decisi di aprire il Mac: niente spazio inutilizzato, niente matasse di cavi e tutto si faceva con cassettini estraibili. E lì, con un bel taglio sul polso, compresi che il bello era anche buono. Dietro c'era un bel progetto.
Con il tempo notai che il progetto non si fermava lì. Per esempio, lo si trovava nel packaging: belle e pratiche scatole con dentro piccoli capolavori di ordine. Oppure nella pubblicità, sempre elegante, minimale ed arguta. Ed ancora, nei particolari come la graffetta per aprire lo sportellino della sim card nell'iPhone... Tutto coerente con un'idea.
E quando ti abitui all'idea che i prodotti possono essere fatti integralmente bene non ti basta più il prezzo basso se poi i pulsanti ballano sotto le dita né la potenza di calcolo se poi, per ore ed ore al giorno, devi lavorare su uno triste coso nero.
E, ultima ma non ultima, Apple ha una storia. Una bella storia. Che coincide con la vita del suo creatore. Riconosciuto come uno dei più grandi comunicatori del pianeta, che però non rilascia interviste ed un giorno, premiato con una laurea ad honorem, se ne esce con uno dei discorsi più belli che una persona possa fare.
E' strano perché alla fine stiamo parlando di cose, ma mi dispiace che Steve Jobs oggi non ci sia più. Scrivere questo post sul mio bellissimo MacBook ha un sapore particolare ma è il miglior saluto che sono in grado di fare a Steve.

Stay Hungry. Stay Foolish.

venerdì 30 settembre 2011

Breeze!

Sempre a pensare che le cose importanti siano anche pesanti. Blocchi di granito finemente scolpito. "E' bello perché è difficile". "E' difficile perché è importante". E d'un tratto Rod Stewart che sale le scale. Al piano di sotto una vecchia radio a quattro bande. Fuori c'è tanto sole. Senza accorgermene, una leggera gioia. Non c'è granito né odore di cantina. Un drink con l'ombrellino. La scala di legno che porta alle dune. C'era chi si tuffava nelle onde mentre il mare scompariva dentro la montagna. Breeze..

sabato 24 settembre 2011

Ginevra-Abruzzo in galleria


...eh bè, l'ingegno italico va debitamente celebrato.

lunedì 25 luglio 2011

Amy Jade Winehouse

E' interessante leggere gli articoli scritti in questi giorni sulla morte di Amy Winehouse. C'è chi usa commenti come "Devastante" (Gino Castaldo) oppure chi crea paralleli numerologici con artisti che muoiono a 27 anni come Hendirx, Morrison, Joplin, Cobain (TG1 delle 13.30 di domenica 24 luglio). Personalmente penso alcune cose al riguardo: Amy Winehouse è stata una ragazza dalla voce particolare e con furbi produttori alle spalle. Non ha segnato la storia della musica, non ha ispirato folle di nuovi artisti. La sua tendenza all'autodistruzione era palese ma una cantante che decide di suicidarsi, una volta riuscita nell'intento, diventa una cantante che si è suicidata, non un mito. Trovo, anzi, sgradevole che si continui ad utilizzare l'argomento "vita di eccessi" come fosse un elemento da considerare nel curriculum vitae di una persona di spettacolo. Come se, ciò che non è riuscita a fare la cantante dal punto di vista artistico lo dovrebbe riuscire a fare lo stile di vita che ha scelto volontariamente di condurre. Troppo facile. Quando gli eccessi, le droghe, l'alcol, i farmaci sono importanti tanto quanto il prodotto artistico, quando ci si accorge che senza questi elementi sarebbe difficile avere ottime ragioni per parlare di un cantante, allora significa che c'è qualcosa che non va nella storia. Pur conoscendo lo stile di vita di Hendrix o Joplin o Morrison, il primo pensiero va alla loro musica e non a quanta droga fossero in grado di assumere in una sera. E questo non lo dico per accanirmi contro una persona che non c'è più ma solo per far notare quanta inutilità ci sia nel mondo della critica musicale, dove per poter parlare di qualcosa la devi far entrare per forza in una categoria. Il problema è che Amy Winehouse non fa parte della categoria dei miti ma della categoria di persone che a 27 anni decidono di andarsene. E questo, per me, sarebbe sufficiente.

venerdì 10 giugno 2011

Landsgemeinde


E' così brutta la Democrazia? E' così fastidioso esprimere direttamente il proprio parere senza intermediari? Quanto dev'essere insopportabile il senso di disperazione che ci si porta dentro per arrivare a rifiutare coscientemente la più semplice e civile forma di sovranità popolare? Non ci sono scuse davanti all'evidenza: il marito che si evira per fare un dispetto alla moglie non è un eroe, è solo uno stupido. Ed ancora più stupido è colui che si evira perché qualcuno gli ha consigliato di farlo. Non so voi ma io, indipendentemente dalle posizioni di ognuno in merito ai quesiti referendari, trovo molto triste che si tratti in questo modo l'unico momento di democrazia diretta che abbiamo. Il mio paese non tratta con rispetto il suo popolo perché se lo rispettasse renderebbe il referendum una festa, la celebrazione del rito che ci permette di decidere per noi stessi e la comunità di cui facciamo tutti parte. Lo pubblicizzerebbe ovunque, aiuterebbe le persone a capire ogni singola parola di ogni quesito, esorterebbe con forza ad andare a votare perché più siamo ad esprimere un parere e più la maggioranza sarà una vera maggioranza. Invece no. Senza nessuna vergogna si afferma che i referendum non servono a niente e gli stessi politici che dovrebbero mostrare al popolo la bellezza e l'importanza del vivere insieme in uno stato democratico, ti consigliano di gettare via il tuo diritto, di non dire la tua, di restare quell'impavido guerriero da divano che sei diventato.

Quando si sputa su una cosa così importante significa che la Democrazia non ci interessa più. E se non ci interessa vuol dire che forse non ce la meritiamo.

Io il mio voto me lo tengo ben stretto e nessuno mi convincerà mai che è meglio non votare. Da sempre, mi annoto i nomi di chi consiglia il non-voto perché non li voglio dimenticare. Queste persone non rispettano il voto e per questo non meritano il mio voto.

PS: Nella foto il Landsgemeinde, la più pura forma di democrazia diretta ancora praticata in alcuni cantoni svizzeri. Nella piazza del Comune, le persone si incontrano e per alzata di mano decidono per la propria comunità. In Svizzera, ogni anno si vota per una decina di referendum. E' così brutta la Democrazia?

mercoledì 8 giugno 2011

L'IKEA batte il Papa

Il fatto è questo: secondo il Papa le coppie che non si sposano non sono una vera famiglia. Il mio pensiero in merito è molto semplice e non voglio sprecarci su troppo tempo: è un punto di vista criticabile sotto due aspetti, il merito e la forma. Nel merito perché prima di definire cosa appartenga alla classe Famiglia si dovrebbe definire la classe Famiglia. In altre parole, è Famiglia chi si sposa in chiesa? Ok, quindi non è Famiglia chi si sposa in comune, chi si sposa con rito ebraico, buddista, shintoista o che ne so io. Se così fosse, solo il Papa avrebbe, dunque, il potere di decidere cosa è Famiglia da cosa non lo è ma, dato che non mi risulta nessun brevetto cattolico sulla classe Famiglia, questa ipotesi è da scartare. Il secondo aspetto criticabile è nella forma perché sarebbe molto meglio sentire ogni tanto da parte del Papa qualche prudente "Secondo me", "A mio modestissimo parere" e "Senza voler offendere nessuno". Entrare in punta di piedi in terreni privati è sempre una buona abitudine. Anche per un Papa.

Ma passiamo alla parte più interessante. Fino a qualche tempo fa mi sarei domandato per quale ragione una redazione di un quotidiano avrebbe dovuto dare spazio a pareri così bizzarri. Voglio dire, il Papa ha il diritto di pensare ciò che vuole ma perché dobbiamo conoscere tutti il suo pensiero? Non potrebbe restare nell'ambiente di chi lo segue come accade per gli ebrei, i buddisti, gli avventisti del settimo giorno e via dicendo?

Oggi, però, ho realizzato una cosa. Non ha senso chiedersi perché i giornali diano spazio a queste cose perché i giornali non sono dei fedeli ricetrasmettitori della realtà. A parte l'imparzialità dei cronisti, spesso e volentieri i fatti si raccontano come gli uffici stampa vogliono che vengano raccontati. Anche il Vaticano ha i suoi uffici stampa e forse i meccanismi non sono così casuali. Facciamo un esempio: di tutto ciò che ha detto il Papa, qualcuno riesce a ricordare qualcosa che non sia legata a questa curiosa uscita sulla famiglia? Ma, penso umilmente, non è che una chiesa in piena crisi ricorra a tecniche di marketing per far ancora parlare di sè? Non è che per restare ancora nei ricordi degli italiani - all'estero il problema è già stato risolto - sia necessario ricorrere alle frasi ad effetto come il peperoncino su una minestra sciapetta e un po' noiosa?

Poco tempo fa l'IKEA tese una trappola pubblicitaria che riuscì perfettamente. Se ne uscì con una campagna dove la famiglia era rappresentata da due maschi che si tenevano per mano, attese l'esternazione scandalizzata di qualche politico - Giovanardi ci cascò subito - ed ottenne, nel pieno della polemica, due risultati:
1. La pubblicità su tutti i giornali senza l'acquisto di un solo spazio pubblicitario
2. L'immagine di un brand dall'aria liberale e progressista che non discrimina nessuno

Oggi il Vaticano fa la stessa cosa ma ribalta la campagna ed anch'esso ottiene due risultati:
1. La pubblicità su tutti i giornali senza l'acquisto di un solo spazio pubblicitario
2. L'immagine di un Papa che si conferma come uno dei più reazionari degli ultimi tempi

Se l'intento fosse quello di riavvicinare le persone alla chiesa sarebbe meglio se la Santa Sede contattasse l'ufficio marketing dell'IKEA. Ah, beata innocenza!

domenica 8 maggio 2011

40

Ad occhi chiusi
il suono dell'acqua.
Le ombre cinesi
sono foglie fragili.

Sei gentile
quando non pensi.

Mentre il vento muove piano
l'amaca al sole,
sul timo
piccoli fiori.

martedì 19 aprile 2011

La tecnica del "Poliziotto buono, poliziotto cattivo"

Dopo aver discusso le tecniche "I problemi degli italiani sono altri" e del "Dito medio", oggi parleremo di una terza tecnica estremamente efficace: la tecnica del "Poliziotto buono, poliziotto cattivo". Prima di iniziare con l'analisi dettagliata, però, è bene fare una breve riflessione introduttiva. L'obiettivo di una strategia mediatica, ben prima del trasferimento di un messaggio, è la creazione di un contatto tra la sorgente di tale messaggio ed il suo target. I metodi per creare un contatto tra sorgente e target sono moltissimi anche se, in generale, la sorgente rappresenta la fonte di uno stimolo mentre il target il recettore di tale stimolo. Se lo stimolo funziona si genera nel target un effetto risposta, se non funziona il target rimarrà indifferente. L'instaurarsi di un effetto nel target, dunque, è la condizione fondamentale affinché si crei il "contatto" di cui sopra. Il famoso adagio "non importa se bene o male, l'importante è che se ne parli" è la sintesi esatta di questo concetto: usa qualsiasi mezzo per destare curiosità nel tuo target perché la curiosità è l'anticamera dell'attenzione e, come insegnano i venditori a domicilio, quando riesci ad infilare un piede nella porta sei già a metà dell'opera. Dunque, se vuoi essere ascoltato, la parola d'ordine è: infila il piede nella porta.

Come già anticipato sopra, i metodi per destare curiosità sono moltissimi, più o meno eleganti, più o meno discutibili, ma oggi parleremo di un metodo estremamente subdolo perché non crea un contatto attraverso una reazione singola e ben definita del target, ma attraverso la sensazione derivante da un contrasto tra due reazioni diametralmente opposte. Ma come funziona questa tecnica?

I passi da seguire sono essenzialmente tre:
1. Si sceglie un tema particolarmente delicato;
2. Si fa una dichiarazione estremista (poliziotto cattivo) prendendo una posizione netta e facilmente attacabile;
3. Si lascia divampare la polemica sui mezzi d'informazione per qualche giorno;
4. Si fa - o si fa fare - una nuova dichiarazione ridimensionando, chiarendo o, addirittura, negando (poliziotto buono) di aver prodotto la prima dichiarazione.

Questa tecnica è molto versatile e può essere applicata con alcune varianti. E' possibile, infatti, che la prima dichiarazione venga prodotta da un membro di partito per poi essere ridimensionata da un altro membro dello stesso partito. In alternativa, può essere prodotta da un membro di partito ed essere poi chiarita da un membro di un altro partito appartenente però alla stessa coalizione. Ma nulla vieta che lo stesso autore della prima dichiarazione ridimensioni, chiarisca, contestualizzi, precisi, smentisca, neghi la sua stessa dichiarazione.

Ma perché dovrebbe funzionare questa curiosa tecnica? Innanzitutto, tra la produzione e la smentita, cioè tra il punto 2. ed il punto 4., si rispetta la regola del sopracitato adagio: non importa come, l'importante è che se ne parli. La distanza tra il punto 2. ed il punto 4. corrisponde, infatti, all'intenso battage pubblicitario che a costo zero permette ai protagonisti di godere di un'esposizione mediatica pressoché continua. I giornali attraverso le loro più autorevoli penne iniziano a produrre editoriali di difesa o di accusa, di sdegno o di orgogliosa accettazione; le televisioni attivano i loro format d'informazione con interviste, servizi e dibattiti in prima serata e tutto questo spinge le persone a schierarsi, scegliere ma, soprattutto, parlarne. E, come d'incanto, nasce la curiosità verso un tema fino al giorno prima sconosciuto. E dove c'è la curiosità c'è anche... l'attenzione. Il piede nella porta è stato posizionato. La sorgente ha contattato il target.

Alcune persone si domandano come possa funzionare una tecnica che impone al singolo, al partito o alla coalizione di assumere un comportamento ondivago denotante scarsa serietà e credibilità. Ingenui! Il punto su cui focalizzare l'attenzione è il tempo. Si deve considerare che il punto 4., l'operazione di ridimensionamento del poliziotto buono, viene effettuata solo dopo qualche giorno. In questo lasso di tempo, la sorgente resta silente lasciando lavorare i propri detrattori. Quando questi giungono all'acme della polemica, schiumanti di rabbia e sdegno, la sorgente fa sapere brevemente che:
1. Le sue parole sono state travisate;
2. Il contesto da cui le sue parole sono state estratte era un altro;
3. E' tutta una macchinazione del nemico nell'ennesimo tentativo di incastrare chi pensa ai veri problemi del paese.
Et voilà! L'urlante sdegno del "nemico" viene disinnescato in un attimo perché tramutato in tanto rumore per nulla. La sorgente ha di fatto usato l'avversario per raggiungere il target polarizzandone le posizioni. I giorni sono trascorsi nel mantra infinito che ripete il nome della sorgente. L'avversario è annichilito perché, correndo dietro alla sorgente, non avrà mai il tempo di proporre qualcosa di proprio. Al target resterà la sensazione di assenza di alternativa.

Infine, non bisogna dimenticare un ulteriore effetto. Se questa tecnica venisse attuata all'interno dello stesso partito o coalizione, l'intervento del poliziotto buono dopo la sparata del poliziotto cattivo, può essere pubblicizzata come "libero e vivace dibattito interno" che poi "nel rispetto delle opinioni di tutti permette di raggiungere sempre una posizione meditata e di buon senso". Che senso di sollievo l'arrivo del poliziotto buono, vero? Ma la trappola è già scattata. La tecnica ha funzionato.

martedì 1 marzo 2011

Perché i telefilm italiani sono così brutti?

Ultimamente, sui canali televisivi italiani, si nota un fiorire di telefilm e fiction home-made. Io non ho niente contro il prodotto italiano, anzi, visto che siamo pieni di Storia e storie da raccontare le sceneggiature non mancherebbero. In più siamo creativi, emozionali e, soprattutto, diversi perché un telefilm sulla quotidianità siciliana sarebbe diverso da uno sul vivere a Milano, a Torino o a Trento. E tutto questo è, secondo me, interessante e ricco di spunti potenziali.

Riflettevo su queste cose l'altra sera guardando una puntata di Cold Case, per chi non l'avesse mai visto è un telefilm americano su casi avvenuti nel passato e non ancora risolti. Cold Case è, a mio parere, un telefilm ben fatto. Le trame sono credibili, la fotografia è bella, gli attori ben caratterizzati e la colonna sonora sincronizzata con il mood delle scene. Poi penso ai telefilm italiani e mi viene in mente Un posto al sole, Un medico in famiglia, I Cesaroni e Capri. Con l'ultimo in modo particolare ho pensato ad ogni puntata che non si potesse fare peggio di così. Smentito sistematicamente.

Sento già pronta la critica: ma gli americani hanno budget stellari, noi no! Io non ho mai pensato che i soldi siano una condizione essenziale per fare un buon prodotto. Anzi, sono convinto che se dessero un budget stellare al regista di Capri si otterrebbe la stessa cosa ma con attori più famosi e qualche effetto speciale in più. Insomma, da una piccola schifezza si passerebbe ad una kolossal-schifezza. Quindi? Qual è il problema?

Non sono un addetto ai lavori ma ho notato alcune cose che non mi piacciono nei telefilm italiani e qui di seguito trovate l'elenco:
1. Gli attori:
- sono di chiara estrazione teatrale e lo si nota da certe esagerazioni nelle mimica, nei respiri e nelle intonazioni della voce. "Vorrei un caffè, grazie" diventa il Macbeth e fa obiettivamente un certo effetto.
- non sono di estrazione teatrale ma vorrebbero diventarlo. Come sopra ma con effetti ancora più divertenti nelle scene di impatto emotivo. "Perché mi fai questo!" con lacrima finta, sguardo da pesce pallato e voce monotonale stile robottino molisano.
- non sono di estrazione teatrale e non lo saranno mai. Un fulgido esempio è offerto da ciò che accade nella tenda berbera in Capri. Non sapete di cosa si tratti? Meglio così.
4. Le riprese: le scene dei telefilm italiani sono tipicamente statiche. L'ammorbante effetto teatrale si fa sentire anche qui perché si tende a far prevalere l'espressività - spesso mai pervenuta - dei volti. Raramente le riprese sono curiose o sorprendenti, raramente cercano di essere un po' più ricercate del riprendere due che parlano inquadrando un pezzo di schiena di uno ed il viso dell'altro. E' come se la regia si auto-censurasse a favore degli attori anziché formare tutt'uno con essi.
5. Le storie: in genere molto buoniste. C'è tanta famiglia ed alla fine tutto si risolve con il trionfo dell'ammmòre.
6. La colonna sonora: ma qualcosa di un po' più moderno no eh? Non è che smettendo di usare archi e pianoforti si commette peccato. Il genio umano ci ha regalato anche batterie, bassi e chitarre elettriche ed un po' più di sporcizia terrena ogni tanto sarebbe più d'impatto che il suono cherubinico di 'sti archi da pellegrinaggio spirituale.

Ho la sensazione che alla fine sia un problema di regia. Ci sono registi italiani di film - quelli che mi piacciono da questo punto di vista sono Virzì, Soldini e Di Gregorio - che riescono a mettere insieme attori con caratteristiche, età e storie professionali molto diverse e, nonostante ciò, si ha la sensazione che i film siano omogenei, credibili e gradevoli. I registi di telefilm, invece, mettendo insieme "materiale umano" diverso non riescono in questo intento ed il risultato è una somma (brutta) delle parti anziché un tutt'uno. Non è raro che negli USA molti telefilm siano belli anche perché dietro spesso c'è lo zampino di nomi come Spielberg, Scott o, in passato, Crichton ma secondo me c'è qualcosa di più. E' come se ci fosse un'idea più generale di telefilm ed il prodotto è, prima che ben fatto, ben progettato. Nessuno dà l'idea di essere lì perché prestato dal teatro o in attesa di fare cose più impegnate. E' lì perché sta facendo il telefilm e la cosa è talmente forte che molti attori saranno per sempre associati alla serie televisiva e non ai film fatti in seguito (da Fonzie ad Arnold fino a Fox Mulder e Dana Scully). Quindi mi sorge spontanea una domanda: ma con tutti i ricercatori italiani che vanno a specializzarsi all'estero, perché i registi e gli sceneggiatori di telefilm non si possono fare qualche annetto di studio fuori dall'Italia? Se poi in loro assenza non si girasse Capri 2... pazienza.

domenica 13 febbraio 2011

La tecnica del "Dito Medio"

In un post precedente, cari lettori, abbiamo trattato diffusamente la tecnica dialettica denominata "I problemi sono altri". In breve, per chi non ne fosse ancora edotto, tale tecnica è semplice ed efficace poiché permette a chi non ha la più pallida idea di quali siano i problemi di smarcarsi con eleganza qualunquista ed ottenere il consenso di chi come lui - in genere la maggioranza - non sa di che cosa si stia parlando. Ignoranti sì, ma con dignità. Dal punto di vista pratico, la tecnica si applica durante una concitata discussione tuonando, ad esempio, un virile "Insomma! I problemi degli italiani non sono questi!". E' importante notare che la tecnica dev'essere applicata con intensa mimica d'insofferenza, occhi sgranati e tono grave perché più si esprime intensità emotiva e più si dimostra quanto l'argomento ci stia a cuore. Per evitare poi che qualcuno - sempre più raro, ad onor del vero - vi chieda conto di quali siano questi problemi, sciorinate prontamente una lista di luoghi comuni quali "Il lavoro, i figli, le tasse, il costo della vita!" e via dicendo. Se proprio voleste essere tranquilli non lesinate il potente "E ti sembra poco tutto questo?". In alternativa, ma solo in contesti più popolari quali piazze e bar, può bastare un perentorio "E non mi fate dire altro!".

Oggi parleremo di un'altra tecnica che però, lo dico subito, è di livello avanzato. Tale tecnica è detta del "Dito Medio" che, a differenza della precedente, richiede un certo studio ed è spesso attuata in ambienti televisivi. Passiamo dunque alla pratica. La tecnica del Dito Medio prevede essenzialmente cinque fasi:
Fase 1. Ci si mostra impeccabili e compunti. Con educata grazia si saluta il presentatore ed il pubblico e si assume una posizione tipica da monarca attendendo la domanda.
Fase 2. Si inizia una sottile nonché fastidiosa opera di disturbo verso chi sta parlando. Si lanciano suoni (tipo "Bah!") o brevi frasi (tipo "Ma dai!") nei punti salienti del concetto espresso in modo da non farlo percepire completamente all'ascoltatore.
Fase 3. La fase di disturbo cresce. Si sovrappone voce su voce con lunghi periodi tuonanti ma incomprensibili che fanno riferimento a concetti elevati e da cui emergono parole chiave come "Libertà!", "Diritto!", "Democrazia!". Non dimenticate di condire il tutto con espressione e gestualità teatrale, snocciolate numeri e statistiche - tanto nessuno le controllerà - e minacciate sempre di metter mano a fantomatici documenti, testi di leggi, archivi storici che portate in una borsa. Tali documenti devono presentare segni di evidenziatore ed usura evidente così da risultare carte minuziosamente studiate.
Fase 4. L'esplosione si fa incontenibile. Urlando frasi che somigliano a dichiarazioni di guerra, offendendo presentatore, regista, autori e pubblico rei di aver sovvertito le regole democratiche di una corretta informazione ed aver costruito ad arte una trappola mediatica degna dei regimi più autoritari, vi alzate e sciabolate in aria un vigoroso dito medio appellandovi al popolo onesto e silenzioso che paga per subire tale ignominia.
Fase 5. Abbandonate lo studio con passo deciso ed espressione risoluta. La severità delle movenze non deve tradire resa bensì severa scelta di un duro ma inevitabile, retto e coerente esilio.

In molti pensano che la tecnica del Dito Medio venga utilizzata per generare confusione e non permettere all'interlocutore di esprimere con chiarezza il proprio pensiero. Nulla di più sbagliato. Tale tecnica annichilisce sì il civile interlocutore, tuttavia questo è solo un effetto secondario. Il vero target, infatti, non è chi c'è nello studio bensì il pubblico a casa. La continua interruzione sguaiata e a voce alta è per il cervello umano stancante e fastidiosa. L'effetto estenuante è fondamentale perché, seppur interessati all'argomento, si abbandona la trasmissione per l'impossibilità di resistere alla sensazione sgradevole e la stessa sensazione ci accompagnerà tutte le volte che vedremo l'autore di tale tecnica in altre trasmissioni. Risultato: per un meccanismo banalmente associativo, si comincerà a provare insofferenza prima verso la persona e poi verso l'argomento. A differenza, dunque, della tecnica "I problemi sono altri", la tecnica del Dito Medio è solo in apparenza più volgare ma in realtà è molto raffinata. Non rappresenta, infatti, un'elegante fuga con ricerca di consenso, bensì un metodo per creare antipatia ed insofferenza verso uno specifico argomento con l'intento di evitarne l'approfondimento e sviarne l'attenzione. Quando si riscontrano nella popolazione segnali di saturazione con innesco della prima tecnica - "Basta! I problemi degli italiani non sono questi!" - significa che la tecnica del Dito Medio sta funzionando perfettamente.

venerdì 21 gennaio 2011

Fuckin'ology

Tutti quelli che si affannavano a dire che la televisione avrebbe bruciato il cervello delle persone avevano torto. A mio parere la televisione non ha bruciato il cervello delle persone, più semplicemente l'ha creato. Non è un problema di intelligenza presente ma non sfruttata, di potenzialità represse e frustrate. Il problema è che si è creata una connessione così salda tra ciò che si pensa e ciò che si vede in televisione che molte persone reagiscono a ciò che accade in funzione di ciò che avviene in tv. Ogni piccola esperienza della propria vita è già stata presentata e tutto ciò che accade non è più nuovo, triste, bello o giusto. E' semplicemente già visto. La televisione è un grande anticipatore di eventi che anestetizza le reazioni. Dentro di essa tutto è speciale ma fuori tutto è mediocre. La tua vita normale, i tuoi vestiti, la tua compagna, la tua macchina, il tuo lavoro, le tue reazioni non sono speciali. Solo in televisione lo diventerebbero. E allora perché sforzarsi? Perché studiare, perché cercarsi un lavoro, perché coltivare i propri interessi, perché fare tutta questa dannata fatica. E, soprattutto, perché avere pazienza?

Diventando un luogo così rilevante per la vita delle persone, la televisione è ora riuscita a guadagnare un nuovo livello: dando visibilità regala merito. Dopo un passaggio televisivo, se sei un cuoco di trattoria diventi un grande chef, se sei una che canta diventi un'artista, se sei uno che parla diventi un opinionista. E se sei gay? Un opinionista arguto. A questo punto, s'innesca il feedback. Se esci dalla televisione chi guarda la televisione ti riconoscerà fuori da essa e tu potrai vendere questo merito certificato a tutti coloro che vorranno sentirsi sempre più vicini al meraviglioso mezzo. Se proprio non riescono ad entrarci almeno ne frequentano i frequentatori.

E qui la cosa si fa interessante. Supponiamo che tu non sia capace di fare nulla. Supponiamo che tu ricada nel gruppo di persone descritte sopra, cioè quelle che non hanno né voglia né pazienza. Che fai? Non c'è problema. Tutti sono target di qualcosa. Potresti specializzarti in un brillante corso per Personal Shopper oppure uno - più impegnativo - per Cool Hunter (se vi foste posti la domanda, tranquilli, non me li sono inventati, esistono davvero e a Milano li vedete pubblicizzati in metropolitana).

Si però io ho ancora meno pazienza e diventare un Cool Hunter potrebbe essere anche faticoso, non hai qualcosa d'altro? Ma certo! Fai la zocc... ehm, scusa, volevo dire che c'è una nuova professione dai sicuri sviluppi futuri: la escort. Ma devo studiare? Noooooo. Ma devo impiegare anni prima di vedere i risultati? Ma va! Guarda, è un lavoro bellissimo. Ristoranti di lusso, belle macchine, personaggi dello spettacolo e gente facoltosa che ti darà un sacco di soldi. Ne sono sicuro: tu hai i numeri e riuscirai a farti un futuro con le tue mani! E se sei brava potresti anche...andare in televisione!!! Davverooooooooo?! E potrei far vedere a tutti ciò che so fare? Si...ehm..ma che sai fare? Beh, sono molto sincera e ho fatto due anni di danza moderna.

Tutta questa gente non è matta. Ha solo una visione delle cose rinforzata a feedback e scambiata per mondo reale. E la televisione li aiuta perché, nel tempio in cui ogni cosa diventa speciale, ci sarà sempre spazio per tutti. E vuoi che non si trovi spazio per una zocc...ehm, volevo dire una Fuckin'ology consultant? E pure sincera!


PS: Ho vissuto molti anni in un quartiere dove la prostituzione era fatto noto e normale ed ho avuto modo di conoscere donne che hanno fatto questo lavoro per una vita. Parlare con loro mi piaceva perché le loro storie non erano di gente che non aveva voglia o pazienza, né di gente che lo faceva per andare in televisione. Erano storie interessanti su come sono fatti gli uomini. Ed alcune erano allegre sessantenni che ti raccontavano con orgoglio che i loro figli erano laureati.