mercoledì 8 maggio 2013

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We've come too far to give up who we are
So let's raise the bar and our cups to the stars
(Get Lucky, Daft Punk)


mercoledì 20 febbraio 2013

Elezioni Politiche 2013: Il giovane e il feticcio della competenza

È interessante osservare dall'estero la campagna elettorale e vedere come i partiti in fondo non abbiano ancora capito che qualcosa sta succedendo. Mi arrivano in continuazione volantini elettorali per votare questo o quello ed è divertente notare come le strategie elettorali per l'estero siano ancora rivolte ad un preciso tipo d'italiano. Forse gli spin-doctor dei partiti non hanno ancora notato che l'attuale emigrante non ha la capra in garage e le piante di pomodoro coltivate nella vasca da bagno e, cosa più importante, non se n'è andato dall'Italia chiagnenn'. Oggi una buona parte di coloro che abbandonano il Bel Paese ha titoli di studio e una gran voglia di andarsene.
Quindi, tornando al discorso iniziale, a forza di ricevere volantini in cui - oltre a "pizza", "mandolino" ed "orgoglio" - la parola d'ordine è "rinnovamento" ho pensato di fare una piccola analisi su una sola regione estera, la circoscrizione Europa. Qui sotto trovate il grafico delle età (sull'ordinata) dei candidati divisi per partito di appartenenza (sull'ascissa):


Ed ora gli stessi dati accorpati per Età Media (blu) ed Età Mediana (rosso):


Lo so, è un campione poco rappresentativo perché riferito ad una sola circoscrizione ma è pur sempre l'espressione di precise scelte politiche fatte da chi ha deciso quali persone rappresenteranno - intercettandone i voti - i cittadini italiani all'estero nell'area Europa. Che non è poi robetta.
Mi pare di notare che in generale i partiti non considerino molto l'età del candidato come indicatore di rinnovamento. In sintesi:
- I primi tre partiti che conquistano la palma di "partiti vecchi" nella circoscrizione EU sono il Movimento Associativo Italiani all'Estero (MAIE), il Partito Comunista (PC) e il Partito Democratico (PD) che presentano un'età media rispettivamente di 55, 53.1 e 52 anni;
- I partiti che presentano una spaccatura più netta tra "vecchi" e "giovani" sono il Partito delle Libertà (PDL), Sinistra Ecologia e Libertà (SEL) ed il Partito Comunista;
- Il partito che presenta il candidato più anziano è il PD (71 anni);
- Il partito con il candidato più giovane è Fare per Fermare il Declino (27 anni).
È interessante notare che i due partiti che mostrano l'età media più bassa - il Movimento 5 Stelle e Fare per Fermare il Declino - sono anche i due partiti più giovani anagraficamente visto che è la prima elezione a cui partecipano. È evidente che strategicamente questi due partiti sono gli unici ad aver compreso le nuove caratteristiche dell'emigrazione che, presumibilmente, nei prossimi anni tenderà a rafforzarsi sempre di più.
In particolare, il Movimento 5 Stelle è un caso a sè. Come si può notare è il partito con l'età media più bassa ma anche tra i più omogenei internamente, infatti per questa circoscrizione non presenta alcun candidato con età superiore ai 40 anni.
E qui, puntualmente, arriva la solita domanda: "ma la competenza?" Mi sono domandato più volte cosa volesse dire "competenza" in politica e devo ammettere che non sono arrivato ad una risposta soddisfacente. Escludendo dal discorso la cosiddetta "gavetta politica" che è una stupidaggine perché riguardardando un range di attività talmente diverse tra loro perde di significato (si va dall'attacchino di manifesti, al cuoco di salamelle fino ai portaborse e ai membri delle segreterie di partito), ho ridotto il campo a due possibili indicatori di competenza:

1. Attività pregressa in Parlamento
2. Studi inerenti la materia politica

Purtroppo entrambi questi indicatori portano a dei paradossi. La necessità di un'attività pregressa in Parlamento, per estensione, porterebbe alla massima garanzia di competenza solo in assenza di elezioni. In pratica, una volta entrati si chiudono le porte dei palazzi e da lì non usciranno mai più (...cosa non così distante dalla realtà).
Per quanto riguarda gli studi inerenti la materia politica il paradosso è che se così fosse il Parlamento si riempirebbe di avvocati, giuristi e notai che rappresentano tutto tranne la struttura reale del paese (...ed anche questa possibilità non è poi così distante dalla realtà visto il nutrito gruppo della categoria degli avvocati presenti in Parlamento).
È interessante notare come, cercando di confutare una tesi attraverso una reductio ad absurdum siamo arrivati a rappresentare con buona approssimazione la realtà del Parlamento attuale in cui prevalgono la resistenza all'uscita e la forte presenza di specifiche professioni solo parzialmente rappresentative della popolazione.
Aggiungiamo poi l'ultimo tassello: dato che la "competenza" si valuta solo in principio con degli indicatori ma poi sono i fatti a dimostrare se essa sia presente o meno, le persone teoricamente "competenti" del Parlamento italiano hanno dimostrato nei fatti, nonostante il rispetto dei due indicatori visti sopra, la loro reale incompetenza perché è sotto gli occhi di tutti lo stato in cui versa l'Italia. E proprio la loro resistenza all'uscita dal Parlamento li inchioda irrevocabilmente alle loro responsabilità.
In conclusione, io credo che in politica l'argomento "competenza" sia un feticcio, un qualcosa che non si comprende né si sa descrivere nei dettagli ma appena estratto fa paura e tutti smettono di pensare. Il Parlameto dovrebbe essere un luogo rappresentativo del Paese e non uno scoglio per cozze, quindi l'ingresso nei palazzi di giovani e "incompetenti" non dovrebbe essere vissuto come l'Apocalisse, anzi forse potrebbe essere un modo per uscire da schemi di potere che hanno dimostrato tutta la loro miseria. Giusto per stare tranquilli, l'ideale sarebbe fissare un limite massimo nel numero di legislature. In assenza di questo limite si determinerebbe anche per i giovani il perverso e tentatore "effetto competenza" secondo il quale non è la qualità dei tuoi risultati ma la capacità di trasformarti nel tenace mollusco bivalve di colore bruno a far di te un politico competente. Buon voto a tutti.

venerdì 15 febbraio 2013

Il papa e lo strappo nel cielo di carta

Ho atteso qualche giorno prima di scrivere questo post perché immaginavo di sentire qualcuno dire ciò che molta gente - credente o non credente - pensa. E invece, compresi i più razionalisti, non ho ancora letto nulla in merito. Ergo, provo a scriverci su qualcosa.
Posto che se un comportamento all'interno di una rigida struttura gerarchica si manifesta due volte nell'arco di sette secoli (e sette secoli di storia rendono il paragone un tantino ardito), forse un vago dubbio che quel comportamento non sia poi così normale potrebbe anche venire. Invece, noto che a partire dai politici fino ai personaggi che piacciono alla gente che piace è tutto un affannato e tranquillizzante pronunciarsi fin dal primo minuto sull'umanità del gesto ed il rispetto che merita. 
Io non nutro sentimenti astiosi nei confronti del papa anche perché penso che le autorità religiose siano persone come tutti noi solo vestite in modo curioso. Detto questo, cerco di mettermi nei panni di un "cattolico praticante" che vede un uomo assumere il ruolo di rappresentante di Dio e, grazie a questo ruolo, acquisire l'autorità di pontificare - mai termine fu più azzeccato - su qualsiasi cosa compresa la sfera privata delle persone. E tutto d'un tratto questa figura così autorevole dice... grazie e tanti saluti.
Okkei, è una persona anziana che è giustamente e comprensibilmente stanca, ma è anche il primo papa a memoria d'uomo moderno che porti l'investitura di un ruolo quasi-divino - e per questo difficilmente immaginabile come reversibile - a livello di una professione come tante altre da cui ci si possa dimettere a piacimento.
Che messaggio può mandare un papa dimissionario ad un cattolico praticante? Seguendo un ragionamento logico, che, se uno non se la sente più, si può dimettere da qualsiasi ruolo. E allora a questo punto, sempre seguendo la logica, che senso ha giudicare negativamente, ad esempio, chi si dimette dal ruolo di moglie o marito divorziando? Con un gesto del genere il papa più conservatore e severo degli ultimi tempi ha prodotto l'atto più progressista e rivoluzionario che un uomo potesse immaginare. È di fatto un liberi-tutti, è un accettare in prima persona testandolo sulla propria pelle che la vita non è una gara a premi né un percorso minato da regole e dogmi. Esiste il "fare" che ti fa sentire bene e non il "dover fare" perché altrimenti sarai un peccatore che brucerà all'inferno. Esistono le persone ed il loro essere fragilmente e meravigliosamente umane prima ancora che intransigenti giudici guardiani della fede.
La "realtà reale" di cui il prossimo papa dovrebbe tenere conto è che la gente oggi non dà molto retta a chi parla come se gli occhi ed il buon senso non fossero ancora stati inventati. Parlare dell'orrenda piaga rappresentata dal preservativo quando ci sono posti dove le malattie veneree, l'AIDS e la sovrappopolazione sono tra le principali cause di morte; parlare della tremenda colpa rappresentata dall'omosessualità quando all'interno del sacro vincolo del matrimonio si consumano quotidianamente soprusi e violenze; parlare di valori e moralità quando dentro la chiesa è emersa la più rivoltante realtà pedofila, tutto questo se reiterato porterà solo ad un ulteriore distacco perché una cosa sono i modelli ed un'altra è la realtà. Usare l'autorità e la superstizione per migliorare il fitting è un tentativo destinato a fallire miseramente.
La realtà è sempre più complicata dei modelli che cercano di descriverla e le persone oggi hanno tutti gli strumenti per rendersene conto. Se poi questi modelli si arrogano il diritto di essere anche immutabili beh, brutte notizie attendono chi li adotterà. Ciò che è accaduto - ed è accaduto anche se nessuno lo dice - è che questo papa dimissionario ha generato il più incredibile strappo nel cielo di carta della Chiesa. Se provi a guardarci dentro non troverai figure divine ma solo semplici uomini. E forse è meglio così.

martedì 5 febbraio 2013

Lo Space Shuttle e il Presidente

Il 28 gennaio 1986, poco prima di pranzo, ero a casa con la febbre. In televisione c'era Enrica Bonaccorti che conduceva il programma Pronto chi gioca? D'un tratto, la vedo ricevere una notizia da un cameraman e mettersi una mano davanti alla bocca. Era appena esploso lo Space Shuttle Challenger.

Ciò che veniva considerato una meraviglia tecnologica nonché l'orgoglio di un'intera nazione, dopo 73 secondi di volo, ora era solo riccioli di fumo bianco su sfondo blu. A seguito del disastro, venne istituita una commissione di inchiesta composta, tra gli altri, dal fisico premio Nobel Richard Feynman. Feynman dimostrò durante una seduta della commissione come sia possibile, con l'aiuto di un bicchiere d'acqua ed un anello di gomma, ridimensionare il mito di una brillante istituzione americana come la NASA che, in quella circostanza, aveva commesso un grave errore. E tutto ciò accadeva negli anni '80, cioè nel più vivido e luccicante edonismo reaganiano.




Ciò che è davanti agli occhi di tutti in questi giorni è l'esplosione in diretta televisiva non di un razzo ma di una banca, il Monte dei Paschi di Siena. C'è chi ha i razzi e c'è chi ha la storia. Essere la banca più antica del mondo non è poi una cosa così brutta ma, evidentemente, qualcuno ha pensato di distruggere tutto per fare i propri interessi. Ci si poteva aspettare l'istituzione di una commissione d'inchiesta composta magari da esperti indipendenti, perché è così che si fa normalmente quando si cerca di fare chiarezza. E invece no. A quanto pare, il fatto che gli organi di controllo non abbiano notato delle curiose operazioni da qualche miliardo di euro non solleva troppe perplessità. Il fatto che la politica sia nelle banche quanto il latte nei formaggi nemmeno. Al contrario, a fronte di questa situazione, gli ultimi due governi hanno pensato bene di scaricare sulla collettività il salvataggio del Monte dei Paschi proponendo un nuovo stile che sicuramente avrà un grande successo in futuro: il malaffare sostenuto dal contribuente.

Ma perché queste cose succedono? Ieri è stato lo stesso Presidente della Repubblica a spiegarlo molto chiaramente:
 
Il Capo dello Stato avverte il rischio che si possa offuscare di fatto l'immagine, le capacità operative e l'integrità di una delle principali istituzioni di vigilanza e garanzia del Paese, qual è la Banca d'Italia, e si possa, quindi, pericolosamente incidere sulla percezione di stabilità del nostro sistema bancario da parte dei mercati (Fonte: www.quirinale.it).

E questo è il problema. Fuori dai mille dibattiti pre-elettorali, fuori dall'indigestione di tesi, antitesi, analisi, ricette e soluzioni proposte dagli stessi politici che fino ad oggi di tutte queste soluzioni non sono stati capaci di implementarne nessuna, uno dei problemi reali dell'Italia sta proprio in questo enorme retaggio che ci portiamo dietro da secoli. È lo sfondo, è l'aria che si respira, è la sensazione che si prova quando si entra in un ufficio con un'etichetta sulla porta. Il problema principale non è mai risolvere il problema ma come conservare il prestigio ed il potere che ne consegue. Esattamente come nel medioevo bastava l'arrivo del dottore a tranquillizzare il popolo perché "lui è il Dottore", oggi il concetto di istituzione gode dello stesso privilegio autoreferenziale. Il rispetto che si deve provare per le istituzioni in Italia non è legato al loro "fare" ma al loro "essere" trasformando lo stesso rispetto da riconoscimento meritato a status di cui si gode "in quanto tale", incondizionato ed indipendente dal proprio agire. Il fatto è che sganciare il rispetto dalle azioni che dovrebbero indurlo può funzionare in un paese dove l'atto di fede è ancora considerato un normale argomento di dibattito politico ma non può reggere agli occhi di un mondo più avvezzo alla regola del merito che all'intercessione divina. In altre parole, il rispetto dovrebbe arrivare sempre dopo aver dimostrato di meritarlo e mai prima. In Italia, invece, in questa strategia del do-not-disturb si è arrivati a far ricadere la responsabilità di un errore su chi l'errore l'ha subìto, sul paziente che protesta piuttosto che sul "Dottore" che ha sbagliato. In Germania sono stati allontanati i membri delle istituzioni che hanno copiato la loro tesi di laurea. È perché i tedeschi sono degli anarchici, anti-politici e irrispettosi verso le proprie istituzioni o forse perché hanno capito che per dare al mondo un'immagine di affidabilità e serietà è fondamentale allontanare chi questa immagine può macchiare? E se i nostri organi di controllo non hanno notato delle operazioni di tale portata, gettare acqua sul fuoco per il buon nome dell'istituzione renderà la loro immagine più presentabile agli occhi dei mercati o farà pensare agli investitori internazionali che l'Italia è solo un paese da abbandonare a sè stesso?

Ognuno ha i Feynman che si merita...





martedì 6 novembre 2012

Solo qualche parola per te

Educato è l'autunno
Nei piccoli freddi
Che graffiano il viso

Elegante è il tempo
Che cambia i colori
Senza fare rumore

Studio ancora
Perché mi piace

Studio ancora
Perché tu
Me lo lasci fare

Ed ogni tanto
Mi capita di sentire la musica
Ogni tanto l'arrivo del mattino

L'aiuto
È un mantello leggero

Dove non c'era nulla
Ora c'è qualcosa
Che amavo da tempo
E il cuore si muove
In modo minore
Perché la gioia
Non è solo nel sorriso

Tu questo lo sai bene

E mentre io cerco
In ciò che è lieve

Tu

Mi lasci
Essere
Felice

lunedì 5 novembre 2012

Panem et Sdegno

Un tempo si teneva buono il popolo facendolo divertire. Oggi, saturato il canale ludico per eccesso d'infiltrazione seriosa - mai visto niente di più noioso delle trasmissioni con i "professionisti" della cronaca calcistica - si preferisce battere nuovi terreni. Ed è in questa esplorazione di terre vergini che, voilà, si inciampa in una scoperta inattesa

Se vuoi evitare che la gente si arrabbi
Coltiva lo sdegno

Ed ecco, la sera, nel dopocena, ove i succhi gastrici dovrebbero servire ad altro, che si assiste al fiorire del programma di approfondimento politico.
Da bambino, ricordo che la tendenza era quella del dire il meno possibile, tacere, nascondere. Gli intrecci politici e i vizi privati erano cibo per pochi. Si respirava l'aria della "stanza dei bottoni", delle decisioni prese "ai piani alti" perché tu, comune mortale sempliciotto, non dovevi sapere. E dato che la politica si basa sul consenso...
Ma oggi è esattamente il contrario. Se vuoi che le persone non si arrabbino è sufficiente bombardarle di notizie "riservate", mettere tutto in piazza, sputargli in faccia che i loro soldi non solo vengono usati per costruire ospedali che marciranno vuoti o per costruire strade che non porteranno mai da nessuna parte, ma servono anche a qualcuno per comprare ostriche, case e puttane. 
Ti piace questo? No? E come si fa se non ti piace? Semplice: anziché tenerlo nascosto te lo raccontano ma non una volta, tante, tante volte. Sempre la stessa storia con le stesse persone che dicono la stessa cosa. Te lo sbattono in faccia a reti unificate ed intorno a loro, in studio, l'atmosfera sarà tranquilla e distaccata. Come se stessero parlando di qualcosa che non li riguarda, il presentatore ed i giornalisti faranno domande pacate, il pubblico ascolterà mansueto e gli ospiti, con garbo, risponderanno senza sottrarsi. Politicamente corretto. L'educazione prima di tutto.
Una cosa però è importante: lo spettatore deve maturare a casa una crescente sensazione di sdegno. Questa è la nuova droga che oltre a generare dipendenza ed essere spacciabile legalmente ha un altro fantastico effetto: lo sdegno prolungato disinnesca la rabbia. Ma non è pericoloso? Ma no! Pensa che bello: dare il piacere a milioni di telespettatori di poter esprimere giudizi sacrosanti e sempre condivisibili. Parleranno tutti di "ladri", di "scandali", diranno che è "intollerabile", che siamo "al limite". Lo diranno. In casa, in ufficio, al bar, eccoli lì incastrati nei loro tempi di vita ben scanditi. Formiche che si incontrano accidentalmente per scambiarsi qualche chimico segnale: sei mio amico o sei mio nemico? Con poca fatica - per carità! - si sentono dotti in pochi minuti e possono finalmente parlare con brillante sicumera di cose che non conoscono con un magnifico, incontenibile, divino e benedetto senso di SDEGNO! Questa è libertà! 
E non importa se nel tuo paese è possibile essere condannati e contemporaneamente rappresentare lo Stato, non importa se i risulati referendari sono carta da macero, non importa se i conflitti d'interesse sono la normalità e l'infrazione delle leggi è considerata peccato veniale se non chiaro segnale d'intelligenza. E non importa se il politico di turno che gode di privilegi infiniti in questo esatto istante mi sta spiegando dalla sua poltroncina quanto sia pieno di ingiustizie questo paese.
Tutto questo non conta perché poi, i fedeli telespettatori finiscono di lavorare, mangiano qualcosa, si fumano una sigaretta e si guardano ancora un po' di tv. Perché l'importante per loro è essere informati. Per altri l'importante è evitare che stacchino gli occhi da quel vetro luminoso.

mercoledì 8 agosto 2012

Alex Schwazer: per chi dimentica

Ieri ho scritto un post su Alex Schwazer e sul fastidio che provo tutte le volte che vedo esercitare l'unica disciplina di cui sono capaci certe persone: il lancio della prima pietra. E se il colpevole non è un potente, meglio! Dagli al mostro, dai! In questo modo fai bella figura di fronte all'opinione pubblica e non rischi nemmeno il posto.
Quindi, dato che oggi vedo già tanto repentini quanto ruffiani cambi di tono, mi permetto di postare qui sotto tutte le prime pagine dei quotidiani che ieri hanno giocato amabilmente al tiro al piccione. Non sia mai che un domani ci si dimentichi di loro.
Ancora complimenti vivissimi per la prova di grande e coraggioso giornalismo d'inchiesta.









Il Giuda olimpico che ha tradito l'Italia!
Questo vince la medaglia d'oro di tiro con pietra.
Mano sul petto e vai con l'inno.

martedì 7 agosto 2012

Alex Schwazer e i Fascisti su Marte

Oggi vorrei esprimere il mio giudizio sulla vicenda di Alex Schwazer, positivo all'epo ergo dopato. Posto che doparsi è cosa sbagliata e doparsi per le olimpiadi è cosa anche molto stupida, la cosa che trovo davvero fastidiosa è la tragedia greca che sta montando l'informazione e tutti i mega-capi dirigenti dello sport italiano. Ok, Schwazer ha sbagliato ma trattarlo come fosse un mostro comincia a sembrarmi un po' eccessivo.

Ciò che sto notando in queste olimpiadi è l'estensione mediatica del modello gladiatorio-calcistico a tutti gli sport. Appena becchiamo una medaglia la RAI inizia a trattare degli sportivi - anonimi fino ad un attimo prima - come fieri e prodi, miglior espressione di questa Italia mai doma. E si arriva ad autentiche perle da immaginario guzzantiano quando, ad esempio, si vede la squadra statunitense del tiro con l'arco, whatzammerica fighi e scultorei, confrontarsi in finale con i nostri tre gaudenti e panzuti che sembrano usciti da un hotel di Rimini a pensione completa. Basterebbe questa sfida impossibile tra Mazinga e Ratman per godersi la vittoria e invece no, appena vincono gli italiani inizia l'ode da Fascisti su Marte che li bolla con retorica ineffabile come "I nostri eroi!"...

Ecco, in questi giorni ho assistito proprio alla rivisitazione dei giochi olimpici (ripeto: g-i-o-c-h-i) in salsa Istituto Luce, dove se vinci sei una gloria a cui la nazione deve guardare come fulgido esempio, se perdi sei una "delusione", un reprobo ed un vergognoso nessuno. E se poi ti dopi sei un indegno che insozza l'italico tricolore. Che la cosa prendesse una piega di questo tipo l'avevo già subodorato durante la sfilata della cerimonia iniziale. Tutti i paesi entravano con gli atleti e qualche funzionario nelle ultime file. Arriva l'Italia et voilà, dietro la bandiera chi c'è? Uno squadrone di sessantenni stempiati che ti fa pensare: "Ma non è che la squadra italiana è po' fuori forma?" e solo dopo capisci che sono i dirigenti. Mica possono stare dietro loro, eh!


Il segreto italico è tutto nella gioventù

E' per questo che oggi mi danno fastidio queste grida scandalizzate verso Schwazer. Si è bombato? Ok, lo si punisce. Ma sbatterlo in prima pagine al pari di un assassino mi sembra un tantino eccessivo. La scusa è che un atleta olimpico deve rappresentare un esempio per i giovani e qui torniamo a quella che secondo me è una classica minchiata autoreferenziale, ennesima dimostrazione che meno conti e più devi convincere il mondo che il tuo ruolo sia fondamentale per la vita del pianeta. Siamo onesti, quanti di noi la mattina si svegliano facendosi ispirare dalla Vezzali o dalla Pellegrini? Io no, anzi, posso dire che degli atleti olimpici - vincitori e non - mi interessa tanto quanto mi potrebbe interessare la vita di uno sconosciuto scelto a caso sull'elenco telefonico di Cuneo. E la dimostrazione - diciamo una delle tante - che nel nostro paese c'è qualcosa di strano è che tutti i giornali oggi dedicano molto più spazio al tiro al piccione sul ragazzo di Bolzano - a dire il vero, più famoso perché dopo aver munto le vacche si abbuffa di Kinder Pinguì con suo fratello - anziché parlare di tutti gli altri ragazzi che ieri hanno vinto una medaglia. Ma si sa, da noi fa sempre piacere trovare qualcuno da lapidare e più è innocuo il lapidato più sarà cruenta ed esemplare la sua lapidazione.


Lo sguardo del temibile mostro

Andiamoci piano con il creare mostri prèt-a-porter. La vera punizione per Schwazer arriverà nei prossimi mesi ed anni, quando la sua carriera, la sua popolarità, la sua esistenza di allenamenti e rinunce si rivolteranno contro di lui ed il suo nome resterà per sempre associato ad un solo e semplice stupido gesto. Per me è una pena sufficiente e le reazioni di questi angeli ed arcangeli che vivono lo sport da dietro una scrivania e sparano pesante solo quando non corrono alcun rischio, mi fa anche un po' schifo. Almeno Alex Schwazer una medaglia bella e d'oro l'ha vinta. Questi signori, invece, mi sa che non hanno vinto né vinceranno mai niente.

mercoledì 18 luglio 2012

L'incantesimo dei 40 anni

L'incantesimo vuole che il raggiungimento dei quarant'anni sia costellato da bilanci, riflessioni e sagge deduzioni su ciò che si era, ciò che si è e ciò che si diventerà. D'un tratto ci si ritrova circondati da gente che ti chiede con tono grave "Allora, come ti senti?" e tu, assumendo possibilmente la stessa aria derelitta, dovresti fornire una risposta degna della situazione. Non importa se seriosa o ironica, l'importante è che sia di pari rassegnazione in modo da riconoscere alla domanda - e quindi al domandante - un certo grado di autorevolezza. Guai a rispondere al gruppo dei depressi "Benissimo! Praticamente come negli ultimi 39 anni". Suvvia, che mancanza di delicatezza verso chi soffre!

Questa è proprio una cosa che non capisco. Molte persone passano la vita immaginando che il tempo sia una specie di autobus su cui uno sale ed attende di essere trasportato da qualche parte. C'è la fermata della scuola, del lavoro, del fidanzamento, del matrimonio, dei figli, della pensione, del riposo e alla fine scendi. Situandosi i 40 anni con frequenza statisticamente significativa - a queste latitudini - più o meno alla metà di tale percorso, l'approssimarsi del fatidico quarantesimo anno è vissuto come il più classico dei giri di boa. C'è chi si guarda con insistenza allo specchio, c'è chi fa discorsi d'impronta biblica, c'è chi si auto-convince di essere più saggio, c'è chi si iscrive ad un corso di ballo latino-americano e c'è chi acquista pantaloni rossi (NB: per tutta la vita non li hanno mai considerati ed ora ne sfiorano il tessuto come fosse prezioso arazzo chiedendo a bruciapelo "Come mi starebbero?". Nessuno gli risponde e loro sono già alla cassa con l'orrendo trofeo). Non tocchiamo poi il tasto dei "ritocchini" estetici. Non si capisce, infatti, come sia possibile che donne e uomini dotati di budget consistenti ed ancora vaghi segnali di intelligenza si facciano ritoccare per raggiungere siffatte sembianze. I casi sono due: o su GroupOn si vendono sconti comitiva o tutti vanno dallo stesso chirurgo che usa come modello estetico un alieno fuggito dall'Area 51. Non posso credere che per così tante donne l'alieno sia un esempio di bellezza eppure perseverano tutte nel diventare equamente orribili. In modo più o meno latente, si rileva in queste manifestazioni la tendenza ad un blando tentativo di ribellione. Inizia la strenua resistenza a questo autobus che non vuole rallentare.

Analizziamo razionalmente ora il (falso) problema. Personalmente credo che preoccuparsi per l'approssimarsi di una certa età sia il segnale che l'incantesimo sta funzionando. E l'incantesimo ti fa credere che il tempo si sviluppi in due versi: da un lato si chiama "passato" e dall'altro "futuro". In mezzo ci siamo noi cioè il "presente", here and now.

Posto che il passato esiste, sul futuro ho seri dubbi. Cos'è "futuro"? Immaginare che domani mattina farò colazione come questa mattina? Immaginarsi tra 10, 20, 30 anni e ritrovarsi con carni flaccide, flatulenza incontrollata e la libido di un papera di gomma? Esatto. Il futuro è solo ed esclusivamente "immaginare". Nessuno di noi sa quanto durerà il proprio tempo - cioè la parte che dovrebbe stare a destra del punto "presente" - e, nonostante ciò, mentre i bambini ed altri mammiferi si godono quel tempo provando più cose possibile nel qui e ora, gli adulti perdono quel tempo pensando quanto tempo gli resti dal qui e ora. Anziché essere felici per aver fatto qualcosa o per avere ancora la possibilità di farla si rendono infelici nel pensare che il lato destro del loro presente, cioè il loro ipotetico (ed inesistente) futuro, si sta assottigliando.

Risultato? Si diventa insopportabili. Quindi? Vecchi. In sostanza, la correlazione strettamente positiva che si misura tra tempo che passa ed attitudine a "frantumare-in-piccoli-pezzi-i-maroni-altrui" (in questa grande classe rientrano: aumenti d'ansia, paure ingiustificate, eccessi di protezione verso terzi, assenza di piaceri, assenza di curiosità, assenza di contatto con l'attualità e progressiva involuzione verso uno stile di vita grigio e mesto) non è, necessariamente, una relazione causale ma un effetto determinato dalla convinzione che debba essere per forza così. C'è anche da dire che se per tutta la vita hai pensato che l'esistenza fosse solo il passare del tempo, beh, te la sei andata a cercare e adesso tieniti il tuo merengue e i tuoi pantaloni rossi.

Chiarito, dunque, che non ho pantaloni rossi nell'armadio, che ballo solo in contesti privati e solo passi di mia invenzione, consiglio a tutti i quarantenni infestati da mosquitos di pari età di vederla così. Esiste un generatore di passato che si chiama presente. Se ti diverti oggi, domani penserai che ieri è stato divertente e starai bene. Se smetti di ascoltare quella massa di gnù che attende il quarantesimo anno di età per sentirsi Mosè e continui a fare quello che oggi ti appassiona, domani sarà pieno di ieri che ti faranno stare bene. E - non ne ho ancora le prove ma ne sono abbastanza sicuro - l'effetto di tanti ieri divertenti è super-additivo cioè il risultato totale è molto di più della somma delle sue parti. In sostanza, non frantumerai i maroni altrui attendendo che qualcuno diventi insopportabile e poco interessante quanto te e qualunque cosa sia il "futuro" sarà una cosa bella. E tua. Amen.

sabato 9 giugno 2012

Della musica "triste"

Il sempre-sul-pezzo Moreno (aka Emmecola) che instancabile scandaglia criticamente la Rete, mi manda il link ad un articolo su cui potremmo disquisire per decenni. I fatti in breve sono questi: due ricercatori - lo psicologo E. Glenn Schellenberg e il sociologo Christian von Scheve - hanno pubblicato un articolo sulla rivista Psychology of Aesthetics, Creativity and the Arts in cui teorizzano il progressivo "intristimento" della musica. Misurando il tempo e il modo dei brani più popolari degli ultimi 25 anni, hanno notato un progressivo calo del ritmo ed un sempre più frequente utilizzo del modo minore. A quale conclusione porta questa evidenza? En passant, è sempre interessante l'approssimazione che l'effetto "telefono senza fili" genera nell'informazione: se si legge l'articolo originale si deduce che la musica pop sta diventando sempre più composita nel contenuto emozionale, se si legge l'articolo del giornalista che riporta la notizia viene fuori che la musica pop è sempre più triste. Bah.

Ma torniamo all'articolo. A mio parere, nel lavoro ci sono due punti discutibili: la misura di popolarità attraverso Billboard introduce un'inevitabile distorsione legata al gusto anglosassone - se è vero che il grosso della produzione musicale oggi è in inglese, è anche vero che non si tiene in considerazione un'enorme fetta del mercato musicale rappresentata dal mercato latino o asiatico - inoltre, non è detto che il tempo ed il modo catturino bene il "tasso di minore allegria" del brano: ci sono generi molto veloci che non sono per niente allegri e generi lenti che non sono per niente tristi. Inoltre, il modo minore usato in un certo contesto musicale non necessariamente ti fa piangere sulla spalla del vicino: molti brani trance hanno parti in minore e non mi sembra che i rave siano luoghi di contrizione e mestizia.

Specificati questi aspetti ed usando tutte le pinze del caso, cosa sta succedendo alla musica? E' molto difficile esprimere delle opinioni di carattere generale ma il risultato, tutto sommato, non mi sembra così sorprendente. Andiamo con ordine e stabiliamo subito tre principi:
1. "Musica non allegra" non vuol dire "musica triste"
2. "Musica allegra" non vuol dire "musica che ti mette allegria"
3. "Musica triste o allegra" non vuol dire "musica che ti fa star bene"
Questi tre principi sono necessari per evitare almeno di cadere in tentazioni di semplificazione da bar del genere: la musica è meno allegra perché i tempi sono più tristi. Ovviamente è una banalità perché basterebbe pensare alle hit e ai balli in auge nei periodi di guerra per capire che se il periodo è di per sè triste forse la gente preferisce ascoltare e ballare cose allegre. Dunque?

Per cercare una spiegazione al fenomeno, bisognerebbe considerare, a mio parere, altri due aspetti molto importanti: il cambiamento delle modalità di fruizione della musica ed il cambiamento delle modalità di produzione. Molti anni fa, la musica svolgeva una funzione quasi esclusivamente sociale. Le persone ascoltavano musica quando stavano insieme e i mezzi che la trasmettevano - dal juke-box ai locali fino alle stesse radio - svolgevano egregiamente questa funzione. E' abbastanza semplice immaginare che se la musica si ascolta in una dimensione sociale, la stessa musica venga utilizzata dal gruppo per attività sociali come il ballo. Ciò che è accaduto negli ultimi anni è un fenomeno abbastanza evidente ma poco riconosciuto: la portabilità della musica. E' vero che il walkman, il lettore cd e il mini-disc hanno innescato il fenomeno ma è anche vero che dalla loro non avevano capacità paragonabili al più piccolo lettore mp3 di oggi. Progressivamente, quindi, la musica ha cominciato a trasformarsi dalla "cosa speciale" che si ascolta in un posto particolare alla "cosa speciale" che si ascolta ovunque ma, soprattutto, da soli. E' evidente che perdendo la sua dimensione sociale, la musica ha perso anche la sua funzione sociale, trasformandosi da prodotto da ballo (finalizzato alla produzione di sudore o, nel caso dei lenti, alla gran-pomiciata-royale) a prodotto custom, personalizzato sul proprio umore e gusto.

All'interno di questo cambio di destinazione funzionale, anche la produzione musicale ha subito una grande mutazione che, a differenza di quanti pensano, non sta nella facilità di composizione - fare musica fatta bene resta difficile anche con l'elettronica - ma in una caratteristica ben precisa: l'abbatimento dei costi. Oggi, ottenere prodotti qualitativamente accettabili e farli ascoltare al mondo costa drammaticamente meno rispetto a qualche anno fa. Questo aspetto è rilevante per la nostra analisi perché con l'abbassarsi dei costi una miriade di piccoli produttori sono apparsi sul mercato facendo crescere la competizione a livelli mai visti prima. E quindi? Quindi, oggi, devi produrre musica mettendoti in testa che il destinatario finale potrebbe non voler necessariamente ballare ma magari solo godersi un mood malinconico in metropolitana tra Molino Dorino e Precotto. Allo stesso tempo, però, devi riuscire a produrre qualcosa che entri subito perché il tempo è poco ed il rumore di fondo della concorrenza è altissimo.

La mia sensazione è che il trend decrescente in termini di tempo e crescente in quantità di utilizzo del modo minore non ci dica molto su un'ipotetica tristezza dei tempi - che come ho detto sopra mi sembra un po' una scemenza - ma ci dica moltissimo su come è cambiata la fruizione del prodotto musicale e come sia complesso l'ecosistema in cui gusti ed offerta cerchino un punto di equilibrio. Parlo di punto di equilibrio perché immaginare che il tempo dei brani possa scendere senza limiti è tanto inverosimile quanto immaginare che possa crescere senza limiti. Penso sia più appropriato considerare un corridoio di tempi in cui il gusto si muova liberamente e questo articolo ha fotografato solo una parte del trend, polarizzato dall'arrivo di due grandi cambiamenti: la musica su misura che si ascolta per stare soli e la musica che costa poco che, aumentando la concorrenza, obbliga a produrre brani che sopravvivano alla dura legge dello shuffling.

PS: Quest'analisi permette anche di spiegare il perché alcuni artisti sentano il bisogno di vestirsi con abiti fatti di bistecche di manzo e si ubriachino solo in presenza di fotografi.

martedì 17 aprile 2012

Antipolitica e mondo reale

Ieri il Presidente Napolitano sosteneva di non fare di tutte le erbe un fascio: bisogna estirpare il marcio ma non demonizzare i partiti. Da destra e da sinistra - ovviamente - sono arrivati elogi ma io mi stavo domandando: che significato ha un messaggio del genere? Voglio dire: di cosa stiamo parlando quando usiamo i termini "marcio", "demonizzazione", "partito" e "rispetto"?

Ho la sensazione che cercare di disinnescare un potenziale problema senza precisione nel linguaggio, ricorrendo a luoghi comuni e saggezza astratta quando la realtà è evidente a tutti nella sua tragica durezza, sia un tentativo inutile e pericoloso.

E' bene ricordare che, poco tempo fa - nonostante un debito pubblico fuori controllo ed evidenti segnali recessivi - c'era chi in televisione sosteneva che non correvamo nessun rischio. L'intervistatore accondiscendente passava subito ad un'altra domanda, magari sul dolce preferito, sulla squadra del cuore o sull'oggetto a cui il politico di turno era più affezionato e tutto prendeva un'altra piega. Che bei quadretti ci hanno regalato. Che lieti momenti di spaccato familiare ci hanno accompagnato dolcemente all'accogliente giaciglio. Tutto svaniva di fronte al volto umano della politica. Morbida ovatta mediatica dove il sentore di qualcosa che non andava c'era già ma perché rovinarsi la serata con la Gabanelli quando potevi divertirti con la Santanché, La Russa e Scilipoti? E, soprattutto, perché mai faticare per informarti quando persone così brillanti ed istruite ti dicevano esattamente quello che volevi sentirti dire?

Il tanto decantato "rispetto" verso la politica italiana era questo: un misto di anestetico televisivo, tirare a campare e una buona dose di chissenefrega. E dopo? Cosa ha incrinato improvvisamente questo "nobile" senso civico?

Dopo, sull'orlo del precipizio, un gruppo di tecnici ha sostituito il governo per manifesta inadeguatezza ed ora la stessa classe politica che ha contribuito a creare le ragioni del problema è ancora lì a difendere interessi particolari. Ed è qui che sorge spontanea la domanda: di quale demonizzazione e quale mancanza di rispetto stiamo parlando? Di chi è stanco di sostenere economicamente persone che si sono dimostrate incompetenti nel gestire la cosa pubblica? Di chi non capisce perché tutti debbano contribuire alla ripresa dell'economia tranne chi gode di privilegi e vitalizi? Di chi si vede controllati i movimenti del conto corrente quando i bilanci dei partiti non vengono nemmeno certificati? Di chi non capisce perché un'azienda con un buco di bilancio fallisce mentre un partito con un passivo di 43 milioni di euro usi lo stesso "buco" come ottima ragione per continuare a ricevere soldi pubblici? E' questa la tremendissima idea qualunquista ed anitpolitica che bisogna estirpare?

Faccio notare che queste domande non si riferiscono al "marcio". Il "marcio" infatti è un problema che dalla sua ha almeno un piccolo pregio: una volta individuato la legge permette di estirparlo. Intendiamoci, mi infastidisce molto sapere che il denaro pubblico venga usato per sostenere cerchi magici e rampolli dall'imbarazzante livello intellettuale, ma cosa dovrei pensare del privilegio garantito per legge? E, peggio, in un periodo di crisi senza precedenti, cosa dovrei pensare dell'attaccamento volgare e spudorato che i partiti mostrano proprio verso tale privilegio? Dovrei forse provare rispetto verso persone che sulla carte sono nostri rappresentanti ma che in realtà non danno nessun segnale forte di voler condividere gli sforzi?

Mi permetto di dare un consiglio al Presidente: anziché esortare la popolazione ad un astratto senso di rispetto verso i partiti sarebbe più apprezzabile esortare i partiti ad un realistico senso di rispetto verso la popolazione. Magari iniziando a sottometterli alle stesse regole che governano il mondo degli umani: tempo determinato, niente reati, controllo pubblico e valutazione dei risultati. Se questo poi dovesse portare alla chiusura di storici partiti... beh, nulla è eterno e probabilmente né l'evoluzione né l'inclinazione dell'asse terrestre ne risentirebbero.

sabato 31 marzo 2012

Shuffling

Piccole esplosioni gialle
i Siguor Rós in crescendo.
La primavera è ai lati della strada.
Ti conosco impertinente e irreversibile,
mia incosciente Bellezza.
Tu sei necessaria ed io appena sufficiente.
Ma ce la metto tutta
e raccolgo impaziente
il sapore di ogni tuo "Buongiorno!".
David Bowie fa inchinare la chioma dei ciliegi.
Privilegio e ignoranza dell'osservatore.
Resto a guardare per non infrangere
ciò che non chiede nulla.
Ora i Rage ad opporsi al vento
e dietro casa,
per un solo attimo,
un soffio di fiori in volo.

giovedì 8 marzo 2012

La Festa della donna

Se fossi una donna oggi mi sentirei alquanto infastidita. Da anni, ormai, il giorno della festa della donna è la chiara celebrazione dell'ipocrisia. L'atmosfera è quella dei grandi sorrisi e riti cortesi, dove l'uomo dona generoso tonnellate di mimose e la donna, con palpitante commozione - altrimenti l'uomo si offende - ringrazia.
E' innegabile che la situazione sia migliorata: molte più donne occupano oggi ruoli di potere ma basta questo per misurare una situazione? O, forse, dovrebbe pesare anche la statistica sociale che misura tassi crescenti di violenze domestiche, omicidi passionali e aggressioni per futili motivi (leggi "gelosia"). Non basta una bella insegna luminosa per qualificare un luogo e non basta un giorno all'anno per far sentire speciale una persona. Ed è proprio questo il problema: è meglio sentirsi in dovere di far sentire qualcuno speciale per un solo istante o farlo sentire uguale a te per sempre? Perché a me dà molto fastidio osservare questo gesto carino di regalare un fiore oggi, trasformarsi nel dileggio, nella prevaricazione e nella prepotenza domani. Se fossi una donna, sentirei questo giorno come il giorno crudele, quello in cui ti fanno vedere che si può essere gentili, che ci si può regalare attenzione reciproca, che si può essere persone con pari dignità. Ma dura un solo attimo perché, a mezzanotte, l'incantesimo finirà, svaniranno i cocchieri e le carrozze e resteranno solo mimose ad appassire in un bicchiere.

venerdì 24 febbraio 2012

Breve appunto autostradale

Mi piacerebbe sapere cosa passa nella mente di quegli idioti che in autostrada mettono sè stessi e, soprattutto, gli altri in condizioni di pericolo. Non è retorica, lo dico sul serio: mi piacerebbe capire cosa pensano quando sfrecciano oltre i limiti di velocità, quando ti sorpassano incazzati per guadagnare qualche metro e tornare in coda poco più avanti, quando ti mandano a quel paese perché hai commesso il grave torto di rispettare le regole. Dove correranno? Di che responsabilità si sentono investiti? Su quali destini del mondo saranno in grado di intervenire?
Io ho il sospetto che, tra le varie ragioni, vi sia una specie di fuga isterica dalla sensazione di essere un perdente. Come non approfittare della grande opportunità rappresentata dal casello con la coda più breve e per questo tagliare orizzontalmente tutta lo spazio stradale? O ancora, come lasciarsi sfuggire la possibilità di sfruttare i microspazi lasciati dalle auto in corsa e per questo zigzagare con traiettorie imprevedibili tra le corsie? Figo eh? Tutto fa brodo quindi per mostrare al mondo quanto siano in gamba questi assi del volante. Certo, magari non hanno tutto ciò che vogliono. Forse vivono in un perenne stato di rabbia, forse pensano che un giorno a forza di correre qualcosa cambierà e nel frattempo rischiano. Gli piacerebbe avere grandi responsabilità ma il mondo, questo mondo di mediocri lumache che si frappone tra loro ed il nulla, non li ha ancora capiti. E allora se lo inventano un ruolo, una sintomatica aggressività al volante che vorrebbe raccontare di posizioni di prestigio, di uffici operosi o di investimenti che non possono attendere. Non importa che sia vero, conta che lo sembri.
Eppure, provando un senso di totale indifferenza nei confronti di questi personaggi, talvolta mi domando come sia possibile che un essere umano dimostri tanta stupidità nel non considerare la potenza degli eventi infrequenti ma pur sempre possibili. Non basta essere abili piloti dai riflessi prontissimi se il mondo che ti circonda è governato dal vecchio e sempre caro caso. Per quanto mi riguarda, però, la cosa più fastidiosa non è avere a che fare con degli irresponsabili ma tentare di rispondere ogni volta a questa domanda: perché un deficiente ha il diritto di mettermi in pericolo?

giovedì 9 febbraio 2012

L'Era Glaciale

C'è sempre un aspetto divertente nelle cose. Come in un diabolico principio d'indeterminazione quanto più vuoi renderle gravi e drammatiche tanto più risulti ridicolo. I mezzi d'informazione, nel loro epico tentativo di rendere reale ciò che è già reale aggiungendo strati emozionali non necessari, riescono ad apparire estremamente comici. E allora ti vedi questi impavidi giornalisti fare le telecronache sotto la neve e - rigorosamente senza ombrello per dare un gusto più stoico a cotanto eroismo - collegarsi dall'ultimo e misterioso paesino dei monti abruzzesi come fossero al fronte sotto un bombardamento. Raccontano aneddoti da brivido ("Un imprenditore, sentiti dei rumori in cantina, vi ha trovato un cervo vivo!". Come tutti sanno, i rumori in cantina vengono prodotti generalmente da cervi deceduti), oppure di vita vissuta pericolosamente ("Ad un certo punto la nostra troupe si è dovuta fermare perché l'auto slittava nella neve e, come documentano le immagini, siamo stati costretti a spalare!". Mancava un "indomiti e fieri" e sarebbe stato perfetto per Fascisti su Marte). Fino ad intensi momenti di pura commozione ("I militari portano i pasti caldi agli anziani che commossi ringraziano" e dalle immagini si vede un signore che aprendo la porta e trovandosi davanti la telecamera resta fermo per circa tre minuti e poi la richiude).

Ma la vera chicca, la perla delle perle, il solitario che brilla di luce propria è il servizio di quel giornalista che, da un paese di cui lo stesso sindaco non è ancora convinto dell'esistenza, riesce a dire (NdA: attenzione che è roba forte, eh): "..ad un certo punto - come riportato da questo eccezionale documento - è piombato sulla strada un lupo che ha cercato di aggredire la nostra auto!" e dalle immagini si vede un lupetto che, mentre attraversa la strada, si volta e scopre d'improvviso che sta arrivando la macchina della poderosa squadra, si prende un accidente e scappa. Ma non è finita. Il neo-Stephen King aggiunge che mentre viaggiavano hanno visto - pensate! - un branco di lupi "aggredire un cervo e mangiarselo!". Ora, che i lupi non siano agnelli è riportato in diversi documenti anche molto antichi, che non pratichino il vegetarianesimo è scritto anche su Focus, ma di grazia mi chiedo, se un lupo avesse fame e si trovasse di fronte un bel quintale di carne cosa dovrebbe fare?

Ed, infine, eccoci arrivati all'apoteosi. Lei, la regina delle frasi ad effetto, quella che mette tutti d'accordo e riesce a fermare, in un attimo d'intensa coscienza, anche il più rumoroso ed efficiente risucchiatore di spaghetti serale: "Da questi cruenti eventi si evince come anche la natura si ribelli!". Ragioniamo un attimo: un lupo affamato che si mangia un cervo non è una cosa tanto strana, ma supponiamo che il lupo sia un Hare-Krishna, e per regolamento, non possa mangiarsi il cervo. Il lupo però, considerato che fa freddo, nevica, ha una fame boia e quel cervo gli sta pure antipatico perché gira voce nel bosco che sia un fetente, decide di mangiarselo lo stesso. La causa della sua fame è il clima che, fino a prova contraria, è un evento naturale, ergo: la natura (il lupo Hare-Krishna ed il cervo fetente) si ribella a sè stessa (l'evento climatico). Bah, non c'è più la natura di una volta... Grazie per questa indimenticabile pagina di cultura ed approfondimento.

lunedì 7 novembre 2011

Adieu, Gabry

Più che una crisi di governo sembra l'Epopea di Gilgamesh e l'Orlando Furioso mixati sapientemente con General Hospital. In un momento in cui un intero paese sta mostrando la sua parte più debole e reale, accumulata nei decenni da una cultura del navigare a vista senza programmazione né parsimonia, dall'informazione emerge che il premier si dimette ma forse no, che la maggioranza non c'è più ma forse no, ma soprattutto:

1. Che la Carlucci abbandona il suo partito perché "Gli voglio bene!"
2. Che Crosetto dice che è una "Testa di c#££o" perché "Gli voglio bene!" (..e due)
3. Che Berlusconi resta perché "Voglio guardare in faccia i traditori!" (..quanto ci scommettete che in aula diranno che gli votano contro perché "Ti vogliamo bene!")
4. Che La Russa sa parlare il tedesco

Direi che in un momento in cui si sta perdendo la fiducia proprio di coloro che dovrebbero acquistare il nostro debito pubblico, questo è il miglior modo per convincerli del tutto. Ed a ben pensarci non poteva che finire così.

Ma resterà l'ultimo fotogramma. Una lacrima sul viso di Gabry a suggellare l'amara decisione. Un soffio di vento porta via le foglie del viale, ancora uno sguardo tra la sciarpa ed i ricci biondi. E "Adieu Gabry, adieu". Grazie per questa emozione. Buio in sala e poi solo...

Pubblicità.

Ma cosa è diventato questo paese?

giovedì 27 ottobre 2011

Assuefazione ricorsiva

"Non è che gridiamo allo scandalo solo per salvarci la coscienza?". Su questo amletico dubbio, Aldo Grasso ci avverte oggi dal Corriere della Sera che forse - ma solo forse, eh - ci stiamo abituando al dolore. Timidamente, con una cravatta a righe orizzontali in accordo perfetto con il suo commento monotonale, solleva l'argomento a cui nessuno aveva mai pensato. E con la ricorsività che è propria della tv che parla di sè stessa, mentre ci rivela che il dolore è ormai palinsesto quotidiano, alla sua sinistra scorrono le immagini del linciaggio di Gheddafi e della morte in pista di Simoncelli. Complimenti.

L'effetto di riflessioni come questa è sempre lo stesso: un significativo "ha ragione". E poi si ritorna a seguire speciali Rai o Mediaset sui delitti più efferati perché è così che ci si fa un'opinione ed è così che ci si sente dalla parte dei giusti e dei buoni, di quelli che si scandallizzano tutti insieme, di quelli che ne possono poi parlare agli amici o al lavoro. Voyerismo. Solo curiosità asettica, quella senza rischi che tanto se guardi dal buco della serratura nessuno se ne accorge, non senti l'odore del sangue o della paura e non senti nemmeno più che il dolore altrui esiste in televisione per vendere pubblicità.

E se domani quel dolore ad uso altrui fosse proprio il tuo? Se accendendo la televisione, giorno dopo giorno, ti accorgessi di essere diventato un Truman Burbank, che vive nel proprio mondo reale mentre gli altri osservano, morbosi e curiosi, il tuo comportarti da essere umano.

Ti chiederesti ancora: "Non è che ci stiamo abituando?".

giovedì 6 ottobre 2011

Think different.


Molti anni fa, condividevo la terrazza di casa con un amico ingegnere elettronico. Volevo acquistare un computer e lui mi disse: "Perché non prendi un Mac? E' fatto meglio degli altri ed ha un ottimo sistema operativo. Ed è anche bello!".
Ecco, a me questo "Ed è anche bello!" mi si è appiccicato addosso. Non avevo le conoscenze tecniche per capire se un computer fosse davvero meglio di un altro. Però ero in grado di capire cosa fosse bello. Mosso, così, da puro senso estetico, acquistai il mio primo Mac LC e da quel giorno cominciai a fare caso al bello e mi domandai: Perché non costruiscono tutti cose belle?
Dopo un po' di tempo, dovetti cambiare la RAM e il disco rigido all'altro computer che avevo in casa, un (brutto) PC. Una volta aperto il case mi colpì tutto quello spazio inutilizzato, i riccioli di polvere, le matasse di cavi avvolte disordinatamente tra loro. Nello staccare lo spinotto di alimentazione del disco rigido, poi, mi tagliai. Allora decisi di aprire il Mac: niente spazio inutilizzato, niente matasse di cavi e tutto si faceva con cassettini estraibili. E lì, con un bel taglio sul polso, compresi che il bello era anche buono. Dietro c'era un bel progetto.
Con il tempo notai che il progetto non si fermava lì. Per esempio, lo si trovava nel packaging: belle e pratiche scatole con dentro piccoli capolavori di ordine. Oppure nella pubblicità, sempre elegante, minimale ed arguta. Ed ancora, nei particolari come la graffetta per aprire lo sportellino della sim card nell'iPhone... Tutto coerente con un'idea.
E quando ti abitui all'idea che i prodotti possono essere fatti integralmente bene non ti basta più il prezzo basso se poi i pulsanti ballano sotto le dita né la potenza di calcolo se poi, per ore ed ore al giorno, devi lavorare su uno triste coso nero.
E, ultima ma non ultima, Apple ha una storia. Una bella storia. Che coincide con la vita del suo creatore. Riconosciuto come uno dei più grandi comunicatori del pianeta, che però non rilascia interviste ed un giorno, premiato con una laurea ad honorem, se ne esce con uno dei discorsi più belli che una persona possa fare.
E' strano perché alla fine stiamo parlando di cose, ma mi dispiace che Steve Jobs oggi non ci sia più. Scrivere questo post sul mio bellissimo MacBook ha un sapore particolare ma è il miglior saluto che sono in grado di fare a Steve.

Stay Hungry. Stay Foolish.

venerdì 30 settembre 2011

Breeze!

Sempre a pensare che le cose importanti siano anche pesanti. Blocchi di granito finemente scolpito. "E' bello perché è difficile". "E' difficile perché è importante". E d'un tratto Rod Stewart che sale le scale. Al piano di sotto una vecchia radio a quattro bande. Fuori c'è tanto sole. Senza accorgermene, una leggera gioia. Non c'è granito né odore di cantina. Un drink con l'ombrellino. La scala di legno che porta alle dune. C'era chi si tuffava nelle onde mentre il mare scompariva dentro la montagna. Breeze..

sabato 24 settembre 2011

Ginevra-Abruzzo in galleria


...eh bè, l'ingegno italico va debitamente celebrato.

lunedì 25 luglio 2011

Amy Jade Winehouse

E' interessante leggere gli articoli scritti in questi giorni sulla morte di Amy Winehouse. C'è chi usa commenti come "Devastante" (Gino Castaldo) oppure chi crea paralleli numerologici con artisti che muoiono a 27 anni come Hendirx, Morrison, Joplin, Cobain (TG1 delle 13.30 di domenica 24 luglio). Personalmente penso alcune cose al riguardo: Amy Winehouse è stata una ragazza dalla voce particolare e con furbi produttori alle spalle. Non ha segnato la storia della musica, non ha ispirato folle di nuovi artisti. La sua tendenza all'autodistruzione era palese ma una cantante che decide di suicidarsi, una volta riuscita nell'intento, diventa una cantante che si è suicidata, non un mito. Trovo, anzi, sgradevole che si continui ad utilizzare l'argomento "vita di eccessi" come fosse un elemento da considerare nel curriculum vitae di una persona di spettacolo. Come se, ciò che non è riuscita a fare la cantante dal punto di vista artistico lo dovrebbe riuscire a fare lo stile di vita che ha scelto volontariamente di condurre. Troppo facile. Quando gli eccessi, le droghe, l'alcol, i farmaci sono importanti tanto quanto il prodotto artistico, quando ci si accorge che senza questi elementi sarebbe difficile avere ottime ragioni per parlare di un cantante, allora significa che c'è qualcosa che non va nella storia. Pur conoscendo lo stile di vita di Hendrix o Joplin o Morrison, il primo pensiero va alla loro musica e non a quanta droga fossero in grado di assumere in una sera. E questo non lo dico per accanirmi contro una persona che non c'è più ma solo per far notare quanta inutilità ci sia nel mondo della critica musicale, dove per poter parlare di qualcosa la devi far entrare per forza in una categoria. Il problema è che Amy Winehouse non fa parte della categoria dei miti ma della categoria di persone che a 27 anni decidono di andarsene. E questo, per me, sarebbe sufficiente.

venerdì 10 giugno 2011

Landsgemeinde


E' così brutta la Democrazia? E' così fastidioso esprimere direttamente il proprio parere senza intermediari? Quanto dev'essere insopportabile il senso di disperazione che ci si porta dentro per arrivare a rifiutare coscientemente la più semplice e civile forma di sovranità popolare? Non ci sono scuse davanti all'evidenza: il marito che si evira per fare un dispetto alla moglie non è un eroe, è solo uno stupido. Ed ancora più stupido è colui che si evira perché qualcuno gli ha consigliato di farlo. Non so voi ma io, indipendentemente dalle posizioni di ognuno in merito ai quesiti referendari, trovo molto triste che si tratti in questo modo l'unico momento di democrazia diretta che abbiamo. Il mio paese non tratta con rispetto il suo popolo perché se lo rispettasse renderebbe il referendum una festa, la celebrazione del rito che ci permette di decidere per noi stessi e la comunità di cui facciamo tutti parte. Lo pubblicizzerebbe ovunque, aiuterebbe le persone a capire ogni singola parola di ogni quesito, esorterebbe con forza ad andare a votare perché più siamo ad esprimere un parere e più la maggioranza sarà una vera maggioranza. Invece no. Senza nessuna vergogna si afferma che i referendum non servono a niente e gli stessi politici che dovrebbero mostrare al popolo la bellezza e l'importanza del vivere insieme in uno stato democratico, ti consigliano di gettare via il tuo diritto, di non dire la tua, di restare quell'impavido guerriero da divano che sei diventato.

Quando si sputa su una cosa così importante significa che la Democrazia non ci interessa più. E se non ci interessa vuol dire che forse non ce la meritiamo.

Io il mio voto me lo tengo ben stretto e nessuno mi convincerà mai che è meglio non votare. Da sempre, mi annoto i nomi di chi consiglia il non-voto perché non li voglio dimenticare. Queste persone non rispettano il voto e per questo non meritano il mio voto.

PS: Nella foto il Landsgemeinde, la più pura forma di democrazia diretta ancora praticata in alcuni cantoni svizzeri. Nella piazza del Comune, le persone si incontrano e per alzata di mano decidono per la propria comunità. In Svizzera, ogni anno si vota per una decina di referendum. E' così brutta la Democrazia?

mercoledì 8 giugno 2011

L'IKEA batte il Papa

Il fatto è questo: secondo il Papa le coppie che non si sposano non sono una vera famiglia. Il mio pensiero in merito è molto semplice e non voglio sprecarci su troppo tempo: è un punto di vista criticabile sotto due aspetti, il merito e la forma. Nel merito perché prima di definire cosa appartenga alla classe Famiglia si dovrebbe definire la classe Famiglia. In altre parole, è Famiglia chi si sposa in chiesa? Ok, quindi non è Famiglia chi si sposa in comune, chi si sposa con rito ebraico, buddista, shintoista o che ne so io. Se così fosse, solo il Papa avrebbe, dunque, il potere di decidere cosa è Famiglia da cosa non lo è ma, dato che non mi risulta nessun brevetto cattolico sulla classe Famiglia, questa ipotesi è da scartare. Il secondo aspetto criticabile è nella forma perché sarebbe molto meglio sentire ogni tanto da parte del Papa qualche prudente "Secondo me", "A mio modestissimo parere" e "Senza voler offendere nessuno". Entrare in punta di piedi in terreni privati è sempre una buona abitudine. Anche per un Papa.

Ma passiamo alla parte più interessante. Fino a qualche tempo fa mi sarei domandato per quale ragione una redazione di un quotidiano avrebbe dovuto dare spazio a pareri così bizzarri. Voglio dire, il Papa ha il diritto di pensare ciò che vuole ma perché dobbiamo conoscere tutti il suo pensiero? Non potrebbe restare nell'ambiente di chi lo segue come accade per gli ebrei, i buddisti, gli avventisti del settimo giorno e via dicendo?

Oggi, però, ho realizzato una cosa. Non ha senso chiedersi perché i giornali diano spazio a queste cose perché i giornali non sono dei fedeli ricetrasmettitori della realtà. A parte l'imparzialità dei cronisti, spesso e volentieri i fatti si raccontano come gli uffici stampa vogliono che vengano raccontati. Anche il Vaticano ha i suoi uffici stampa e forse i meccanismi non sono così casuali. Facciamo un esempio: di tutto ciò che ha detto il Papa, qualcuno riesce a ricordare qualcosa che non sia legata a questa curiosa uscita sulla famiglia? Ma, penso umilmente, non è che una chiesa in piena crisi ricorra a tecniche di marketing per far ancora parlare di sè? Non è che per restare ancora nei ricordi degli italiani - all'estero il problema è già stato risolto - sia necessario ricorrere alle frasi ad effetto come il peperoncino su una minestra sciapetta e un po' noiosa?

Poco tempo fa l'IKEA tese una trappola pubblicitaria che riuscì perfettamente. Se ne uscì con una campagna dove la famiglia era rappresentata da due maschi che si tenevano per mano, attese l'esternazione scandalizzata di qualche politico - Giovanardi ci cascò subito - ed ottenne, nel pieno della polemica, due risultati:
1. La pubblicità su tutti i giornali senza l'acquisto di un solo spazio pubblicitario
2. L'immagine di un brand dall'aria liberale e progressista che non discrimina nessuno

Oggi il Vaticano fa la stessa cosa ma ribalta la campagna ed anch'esso ottiene due risultati:
1. La pubblicità su tutti i giornali senza l'acquisto di un solo spazio pubblicitario
2. L'immagine di un Papa che si conferma come uno dei più reazionari degli ultimi tempi

Se l'intento fosse quello di riavvicinare le persone alla chiesa sarebbe meglio se la Santa Sede contattasse l'ufficio marketing dell'IKEA. Ah, beata innocenza!

domenica 8 maggio 2011

40

Ad occhi chiusi
il suono dell'acqua.
Le ombre cinesi
sono foglie fragili.

Sei gentile
quando non pensi.

Mentre il vento muove piano
l'amaca al sole,
sul timo
piccoli fiori.

martedì 19 aprile 2011

La tecnica del "Poliziotto buono, poliziotto cattivo"

Dopo aver discusso le tecniche "I problemi degli italiani sono altri" e del "Dito medio", oggi parleremo di una terza tecnica estremamente efficace: la tecnica del "Poliziotto buono, poliziotto cattivo". Prima di iniziare con l'analisi dettagliata, però, è bene fare una breve riflessione introduttiva. L'obiettivo di una strategia mediatica, ben prima del trasferimento di un messaggio, è la creazione di un contatto tra la sorgente di tale messaggio ed il suo target. I metodi per creare un contatto tra sorgente e target sono moltissimi anche se, in generale, la sorgente rappresenta la fonte di uno stimolo mentre il target il recettore di tale stimolo. Se lo stimolo funziona si genera nel target un effetto risposta, se non funziona il target rimarrà indifferente. L'instaurarsi di un effetto nel target, dunque, è la condizione fondamentale affinché si crei il "contatto" di cui sopra. Il famoso adagio "non importa se bene o male, l'importante è che se ne parli" è la sintesi esatta di questo concetto: usa qualsiasi mezzo per destare curiosità nel tuo target perché la curiosità è l'anticamera dell'attenzione e, come insegnano i venditori a domicilio, quando riesci ad infilare un piede nella porta sei già a metà dell'opera. Dunque, se vuoi essere ascoltato, la parola d'ordine è: infila il piede nella porta.

Come già anticipato sopra, i metodi per destare curiosità sono moltissimi, più o meno eleganti, più o meno discutibili, ma oggi parleremo di un metodo estremamente subdolo perché non crea un contatto attraverso una reazione singola e ben definita del target, ma attraverso la sensazione derivante da un contrasto tra due reazioni diametralmente opposte. Ma come funziona questa tecnica?

I passi da seguire sono essenzialmente tre:
1. Si sceglie un tema particolarmente delicato;
2. Si fa una dichiarazione estremista (poliziotto cattivo) prendendo una posizione netta e facilmente attacabile;
3. Si lascia divampare la polemica sui mezzi d'informazione per qualche giorno;
4. Si fa - o si fa fare - una nuova dichiarazione ridimensionando, chiarendo o, addirittura, negando (poliziotto buono) di aver prodotto la prima dichiarazione.

Questa tecnica è molto versatile e può essere applicata con alcune varianti. E' possibile, infatti, che la prima dichiarazione venga prodotta da un membro di partito per poi essere ridimensionata da un altro membro dello stesso partito. In alternativa, può essere prodotta da un membro di partito ed essere poi chiarita da un membro di un altro partito appartenente però alla stessa coalizione. Ma nulla vieta che lo stesso autore della prima dichiarazione ridimensioni, chiarisca, contestualizzi, precisi, smentisca, neghi la sua stessa dichiarazione.

Ma perché dovrebbe funzionare questa curiosa tecnica? Innanzitutto, tra la produzione e la smentita, cioè tra il punto 2. ed il punto 4., si rispetta la regola del sopracitato adagio: non importa come, l'importante è che se ne parli. La distanza tra il punto 2. ed il punto 4. corrisponde, infatti, all'intenso battage pubblicitario che a costo zero permette ai protagonisti di godere di un'esposizione mediatica pressoché continua. I giornali attraverso le loro più autorevoli penne iniziano a produrre editoriali di difesa o di accusa, di sdegno o di orgogliosa accettazione; le televisioni attivano i loro format d'informazione con interviste, servizi e dibattiti in prima serata e tutto questo spinge le persone a schierarsi, scegliere ma, soprattutto, parlarne. E, come d'incanto, nasce la curiosità verso un tema fino al giorno prima sconosciuto. E dove c'è la curiosità c'è anche... l'attenzione. Il piede nella porta è stato posizionato. La sorgente ha contattato il target.

Alcune persone si domandano come possa funzionare una tecnica che impone al singolo, al partito o alla coalizione di assumere un comportamento ondivago denotante scarsa serietà e credibilità. Ingenui! Il punto su cui focalizzare l'attenzione è il tempo. Si deve considerare che il punto 4., l'operazione di ridimensionamento del poliziotto buono, viene effettuata solo dopo qualche giorno. In questo lasso di tempo, la sorgente resta silente lasciando lavorare i propri detrattori. Quando questi giungono all'acme della polemica, schiumanti di rabbia e sdegno, la sorgente fa sapere brevemente che:
1. Le sue parole sono state travisate;
2. Il contesto da cui le sue parole sono state estratte era un altro;
3. E' tutta una macchinazione del nemico nell'ennesimo tentativo di incastrare chi pensa ai veri problemi del paese.
Et voilà! L'urlante sdegno del "nemico" viene disinnescato in un attimo perché tramutato in tanto rumore per nulla. La sorgente ha di fatto usato l'avversario per raggiungere il target polarizzandone le posizioni. I giorni sono trascorsi nel mantra infinito che ripete il nome della sorgente. L'avversario è annichilito perché, correndo dietro alla sorgente, non avrà mai il tempo di proporre qualcosa di proprio. Al target resterà la sensazione di assenza di alternativa.

Infine, non bisogna dimenticare un ulteriore effetto. Se questa tecnica venisse attuata all'interno dello stesso partito o coalizione, l'intervento del poliziotto buono dopo la sparata del poliziotto cattivo, può essere pubblicizzata come "libero e vivace dibattito interno" che poi "nel rispetto delle opinioni di tutti permette di raggiungere sempre una posizione meditata e di buon senso". Che senso di sollievo l'arrivo del poliziotto buono, vero? Ma la trappola è già scattata. La tecnica ha funzionato.

martedì 1 marzo 2011

Perché i telefilm italiani sono così brutti?

Ultimamente, sui canali televisivi italiani, si nota un fiorire di telefilm e fiction home-made. Io non ho niente contro il prodotto italiano, anzi, visto che siamo pieni di Storia e storie da raccontare le sceneggiature non mancherebbero. In più siamo creativi, emozionali e, soprattutto, diversi perché un telefilm sulla quotidianità siciliana sarebbe diverso da uno sul vivere a Milano, a Torino o a Trento. E tutto questo è, secondo me, interessante e ricco di spunti potenziali.

Riflettevo su queste cose l'altra sera guardando una puntata di Cold Case, per chi non l'avesse mai visto è un telefilm americano su casi avvenuti nel passato e non ancora risolti. Cold Case è, a mio parere, un telefilm ben fatto. Le trame sono credibili, la fotografia è bella, gli attori ben caratterizzati e la colonna sonora sincronizzata con il mood delle scene. Poi penso ai telefilm italiani e mi viene in mente Un posto al sole, Un medico in famiglia, I Cesaroni e Capri. Con l'ultimo in modo particolare ho pensato ad ogni puntata che non si potesse fare peggio di così. Smentito sistematicamente.

Sento già pronta la critica: ma gli americani hanno budget stellari, noi no! Io non ho mai pensato che i soldi siano una condizione essenziale per fare un buon prodotto. Anzi, sono convinto che se dessero un budget stellare al regista di Capri si otterrebbe la stessa cosa ma con attori più famosi e qualche effetto speciale in più. Insomma, da una piccola schifezza si passerebbe ad una kolossal-schifezza. Quindi? Qual è il problema?

Non sono un addetto ai lavori ma ho notato alcune cose che non mi piacciono nei telefilm italiani e qui di seguito trovate l'elenco:
1. Gli attori:
- sono di chiara estrazione teatrale e lo si nota da certe esagerazioni nelle mimica, nei respiri e nelle intonazioni della voce. "Vorrei un caffè, grazie" diventa il Macbeth e fa obiettivamente un certo effetto.
- non sono di estrazione teatrale ma vorrebbero diventarlo. Come sopra ma con effetti ancora più divertenti nelle scene di impatto emotivo. "Perché mi fai questo!" con lacrima finta, sguardo da pesce pallato e voce monotonale stile robottino molisano.
- non sono di estrazione teatrale e non lo saranno mai. Un fulgido esempio è offerto da ciò che accade nella tenda berbera in Capri. Non sapete di cosa si tratti? Meglio così.
4. Le riprese: le scene dei telefilm italiani sono tipicamente statiche. L'ammorbante effetto teatrale si fa sentire anche qui perché si tende a far prevalere l'espressività - spesso mai pervenuta - dei volti. Raramente le riprese sono curiose o sorprendenti, raramente cercano di essere un po' più ricercate del riprendere due che parlano inquadrando un pezzo di schiena di uno ed il viso dell'altro. E' come se la regia si auto-censurasse a favore degli attori anziché formare tutt'uno con essi.
5. Le storie: in genere molto buoniste. C'è tanta famiglia ed alla fine tutto si risolve con il trionfo dell'ammmòre.
6. La colonna sonora: ma qualcosa di un po' più moderno no eh? Non è che smettendo di usare archi e pianoforti si commette peccato. Il genio umano ci ha regalato anche batterie, bassi e chitarre elettriche ed un po' più di sporcizia terrena ogni tanto sarebbe più d'impatto che il suono cherubinico di 'sti archi da pellegrinaggio spirituale.

Ho la sensazione che alla fine sia un problema di regia. Ci sono registi italiani di film - quelli che mi piacciono da questo punto di vista sono Virzì, Soldini e Di Gregorio - che riescono a mettere insieme attori con caratteristiche, età e storie professionali molto diverse e, nonostante ciò, si ha la sensazione che i film siano omogenei, credibili e gradevoli. I registi di telefilm, invece, mettendo insieme "materiale umano" diverso non riescono in questo intento ed il risultato è una somma (brutta) delle parti anziché un tutt'uno. Non è raro che negli USA molti telefilm siano belli anche perché dietro spesso c'è lo zampino di nomi come Spielberg, Scott o, in passato, Crichton ma secondo me c'è qualcosa di più. E' come se ci fosse un'idea più generale di telefilm ed il prodotto è, prima che ben fatto, ben progettato. Nessuno dà l'idea di essere lì perché prestato dal teatro o in attesa di fare cose più impegnate. E' lì perché sta facendo il telefilm e la cosa è talmente forte che molti attori saranno per sempre associati alla serie televisiva e non ai film fatti in seguito (da Fonzie ad Arnold fino a Fox Mulder e Dana Scully). Quindi mi sorge spontanea una domanda: ma con tutti i ricercatori italiani che vanno a specializzarsi all'estero, perché i registi e gli sceneggiatori di telefilm non si possono fare qualche annetto di studio fuori dall'Italia? Se poi in loro assenza non si girasse Capri 2... pazienza.

domenica 13 febbraio 2011

La tecnica del "Dito Medio"

In un post precedente, cari lettori, abbiamo trattato diffusamente la tecnica dialettica denominata "I problemi sono altri". In breve, per chi non ne fosse ancora edotto, tale tecnica è semplice ed efficace poiché permette a chi non ha la più pallida idea di quali siano i problemi di smarcarsi con eleganza qualunquista ed ottenere il consenso di chi come lui - in genere la maggioranza - non sa di che cosa si stia parlando. Ignoranti sì, ma con dignità. Dal punto di vista pratico, la tecnica si applica durante una concitata discussione tuonando, ad esempio, un virile "Insomma! I problemi degli italiani non sono questi!". E' importante notare che la tecnica dev'essere applicata con intensa mimica d'insofferenza, occhi sgranati e tono grave perché più si esprime intensità emotiva e più si dimostra quanto l'argomento ci stia a cuore. Per evitare poi che qualcuno - sempre più raro, ad onor del vero - vi chieda conto di quali siano questi problemi, sciorinate prontamente una lista di luoghi comuni quali "Il lavoro, i figli, le tasse, il costo della vita!" e via dicendo. Se proprio voleste essere tranquilli non lesinate il potente "E ti sembra poco tutto questo?". In alternativa, ma solo in contesti più popolari quali piazze e bar, può bastare un perentorio "E non mi fate dire altro!".

Oggi parleremo di un'altra tecnica che però, lo dico subito, è di livello avanzato. Tale tecnica è detta del "Dito Medio" che, a differenza della precedente, richiede un certo studio ed è spesso attuata in ambienti televisivi. Passiamo dunque alla pratica. La tecnica del Dito Medio prevede essenzialmente cinque fasi:
Fase 1. Ci si mostra impeccabili e compunti. Con educata grazia si saluta il presentatore ed il pubblico e si assume una posizione tipica da monarca attendendo la domanda.
Fase 2. Si inizia una sottile nonché fastidiosa opera di disturbo verso chi sta parlando. Si lanciano suoni (tipo "Bah!") o brevi frasi (tipo "Ma dai!") nei punti salienti del concetto espresso in modo da non farlo percepire completamente all'ascoltatore.
Fase 3. La fase di disturbo cresce. Si sovrappone voce su voce con lunghi periodi tuonanti ma incomprensibili che fanno riferimento a concetti elevati e da cui emergono parole chiave come "Libertà!", "Diritto!", "Democrazia!". Non dimenticate di condire il tutto con espressione e gestualità teatrale, snocciolate numeri e statistiche - tanto nessuno le controllerà - e minacciate sempre di metter mano a fantomatici documenti, testi di leggi, archivi storici che portate in una borsa. Tali documenti devono presentare segni di evidenziatore ed usura evidente così da risultare carte minuziosamente studiate.
Fase 4. L'esplosione si fa incontenibile. Urlando frasi che somigliano a dichiarazioni di guerra, offendendo presentatore, regista, autori e pubblico rei di aver sovvertito le regole democratiche di una corretta informazione ed aver costruito ad arte una trappola mediatica degna dei regimi più autoritari, vi alzate e sciabolate in aria un vigoroso dito medio appellandovi al popolo onesto e silenzioso che paga per subire tale ignominia.
Fase 5. Abbandonate lo studio con passo deciso ed espressione risoluta. La severità delle movenze non deve tradire resa bensì severa scelta di un duro ma inevitabile, retto e coerente esilio.

In molti pensano che la tecnica del Dito Medio venga utilizzata per generare confusione e non permettere all'interlocutore di esprimere con chiarezza il proprio pensiero. Nulla di più sbagliato. Tale tecnica annichilisce sì il civile interlocutore, tuttavia questo è solo un effetto secondario. Il vero target, infatti, non è chi c'è nello studio bensì il pubblico a casa. La continua interruzione sguaiata e a voce alta è per il cervello umano stancante e fastidiosa. L'effetto estenuante è fondamentale perché, seppur interessati all'argomento, si abbandona la trasmissione per l'impossibilità di resistere alla sensazione sgradevole e la stessa sensazione ci accompagnerà tutte le volte che vedremo l'autore di tale tecnica in altre trasmissioni. Risultato: per un meccanismo banalmente associativo, si comincerà a provare insofferenza prima verso la persona e poi verso l'argomento. A differenza, dunque, della tecnica "I problemi sono altri", la tecnica del Dito Medio è solo in apparenza più volgare ma in realtà è molto raffinata. Non rappresenta, infatti, un'elegante fuga con ricerca di consenso, bensì un metodo per creare antipatia ed insofferenza verso uno specifico argomento con l'intento di evitarne l'approfondimento e sviarne l'attenzione. Quando si riscontrano nella popolazione segnali di saturazione con innesco della prima tecnica - "Basta! I problemi degli italiani non sono questi!" - significa che la tecnica del Dito Medio sta funzionando perfettamente.

venerdì 21 gennaio 2011

Fuckin'ology

Tutti quelli che si affannavano a dire che la televisione avrebbe bruciato il cervello delle persone avevano torto. A mio parere la televisione non ha bruciato il cervello delle persone, più semplicemente l'ha creato. Non è un problema di intelligenza presente ma non sfruttata, di potenzialità represse e frustrate. Il problema è che si è creata una connessione così salda tra ciò che si pensa e ciò che si vede in televisione che molte persone reagiscono a ciò che accade in funzione di ciò che avviene in tv. Ogni piccola esperienza della propria vita è già stata presentata e tutto ciò che accade non è più nuovo, triste, bello o giusto. E' semplicemente già visto. La televisione è un grande anticipatore di eventi che anestetizza le reazioni. Dentro di essa tutto è speciale ma fuori tutto è mediocre. La tua vita normale, i tuoi vestiti, la tua compagna, la tua macchina, il tuo lavoro, le tue reazioni non sono speciali. Solo in televisione lo diventerebbero. E allora perché sforzarsi? Perché studiare, perché cercarsi un lavoro, perché coltivare i propri interessi, perché fare tutta questa dannata fatica. E, soprattutto, perché avere pazienza?

Diventando un luogo così rilevante per la vita delle persone, la televisione è ora riuscita a guadagnare un nuovo livello: dando visibilità regala merito. Dopo un passaggio televisivo, se sei un cuoco di trattoria diventi un grande chef, se sei una che canta diventi un'artista, se sei uno che parla diventi un opinionista. E se sei gay? Un opinionista arguto. A questo punto, s'innesca il feedback. Se esci dalla televisione chi guarda la televisione ti riconoscerà fuori da essa e tu potrai vendere questo merito certificato a tutti coloro che vorranno sentirsi sempre più vicini al meraviglioso mezzo. Se proprio non riescono ad entrarci almeno ne frequentano i frequentatori.

E qui la cosa si fa interessante. Supponiamo che tu non sia capace di fare nulla. Supponiamo che tu ricada nel gruppo di persone descritte sopra, cioè quelle che non hanno né voglia né pazienza. Che fai? Non c'è problema. Tutti sono target di qualcosa. Potresti specializzarti in un brillante corso per Personal Shopper oppure uno - più impegnativo - per Cool Hunter (se vi foste posti la domanda, tranquilli, non me li sono inventati, esistono davvero e a Milano li vedete pubblicizzati in metropolitana).

Si però io ho ancora meno pazienza e diventare un Cool Hunter potrebbe essere anche faticoso, non hai qualcosa d'altro? Ma certo! Fai la zocc... ehm, scusa, volevo dire che c'è una nuova professione dai sicuri sviluppi futuri: la escort. Ma devo studiare? Noooooo. Ma devo impiegare anni prima di vedere i risultati? Ma va! Guarda, è un lavoro bellissimo. Ristoranti di lusso, belle macchine, personaggi dello spettacolo e gente facoltosa che ti darà un sacco di soldi. Ne sono sicuro: tu hai i numeri e riuscirai a farti un futuro con le tue mani! E se sei brava potresti anche...andare in televisione!!! Davverooooooooo?! E potrei far vedere a tutti ciò che so fare? Si...ehm..ma che sai fare? Beh, sono molto sincera e ho fatto due anni di danza moderna.

Tutta questa gente non è matta. Ha solo una visione delle cose rinforzata a feedback e scambiata per mondo reale. E la televisione li aiuta perché, nel tempio in cui ogni cosa diventa speciale, ci sarà sempre spazio per tutti. E vuoi che non si trovi spazio per una zocc...ehm, volevo dire una Fuckin'ology consultant? E pure sincera!


PS: Ho vissuto molti anni in un quartiere dove la prostituzione era fatto noto e normale ed ho avuto modo di conoscere donne che hanno fatto questo lavoro per una vita. Parlare con loro mi piaceva perché le loro storie non erano di gente che non aveva voglia o pazienza, né di gente che lo faceva per andare in televisione. Erano storie interessanti su come sono fatti gli uomini. Ed alcune erano allegre sessantenni che ti raccontavano con orgoglio che i loro figli erano laureati.

lunedì 6 dicembre 2010

L'università italiana: brevi appunti dal mondo reale (Prima parte)

In tema di università le dichiarazioni ormai si limitano ad inutili frasi ad effetto e, come sempre, non esiste una seria e magari noiosa trasmissione televisiva d'informazione ma un fiorire di rumorosi e colorati programmi che intrattengono il telespettatore, lo eccitano, lo aizzano, facendogli credere di essere parte di qualcosa e alla fine non gli spiegano nulla. Ciò che resta è un effimero incattivimento e il solito elementare trasferimento di frasi fatte che diventa l'alternativa - comoda - al costruirsi un'opinione propria. Sarebbe interessante, a mio parere, mostrare agli italiani come funzionano le cose all'estero e come università - spesso prese come esempio mitico - siano diventate e restino eccellenti. Perché l'impressione che ho è che in Italia si viva - o si voglia vivere - in una specie di salottino privato del tutto incurante e svincolato da ciò che accade fuori. Uscendo dal salottino ti rendi conto che tutto va ad un'altra velocità e quello che sembra in patria problema insormontabile, tenzone politica, gradino invalicabile, scandalo pruriginoso, all'estero è visto come solita opera buffa all'italiana, divertente ed incomprensibile, ma del tutto insignificante. Il problema però esiste e non fa neanche tanto ridere perché se è vero che ci piace rotolarci tra i rifiuti della polemica, con le dichiarazioni istituzionali seguite dall'inattività pratica è anche vero che il meccanismo è in irreversibile disfacimento ed il peggio arriverà presto.

Torniamo quindi al tema principale e, toccando alcuni punti, cerchiamo di raccontare qualcosa di reale. Partiamo dal concetto di Università: L'Università non esiste. Esistono LE università. E' evidente - a quanto pare non a tutti - che le necessità di un ricercatore di Storia non siano le stesse di un ricercatore di Scienze Biologiche e tutti i discorsi su un'astratta ed omogenea entità chiamata "Università" sono segno di scarsa qualità dell'analisi. Dunque, io non so quali siano le spese delle facoltà umanistiche ma so bene che far funzionare un laboratorio di ricerca costa ed anche tanto e tagliare uniformemente i fondi dell'entità - inesistente - "Università" significa penalizzare chi costa di più non per spreco ma per necessità. Detto questo, sarebbe bene anche rendere i controlli sulla spesa più stringenti e questo, per alcune facoltà scientifiche, non sarebbe nemmeno tanto difficile perché se un laboratorio - trascorso un ragionevole lasso di tempo - non pubblica articoli, non partecipa a network internazionali e non collabora con nessuno è difficile che stia ricercando qualcosa. Inoltre, questo tipo di giudizio è alquanto oggettivo perché del tutto indipendente dalla presenza-assenza di baroni e relative discendenze. Nelle università però tutti sanno chi fa ricerca e chi non la fa ma il trattamento resta comunque lo stesso.

Dunque, il primo dato dal mondo reale è che la ricerca costa molto ed ogni discorso serio sull'università non dovrebbe prescindere dal fatto che avere ottime idee e non poterle realizzare è come non avere ottime idee. Per questa ragione, l'Unione Europea mette a disposizione fondi per finanziare la ricerca all'interno di programmi definiti "strategici". E qui arriva il secondo dato dal mondo reale: in molte università italiane tutta la fase di ricerca fondi, studio della regolamentazione e compilazione della documentazione non è svolta da personale dedicato ma dagli stessi ricercatori che se va bene si dividono tra laboratorio e carte, se va male abbandonando definitivamente il laboratorio per le carte.

Una pittoresca idea che ho sentito in questi giorni è quella che l'università sia un posto in cui una generica figura denominata "ricercatore" occupi il suo tempo trotterellando allegro sui prati verdi della scoperta. Prima di tutto va chiarito che in università esiste una gerarchia. E in virtù di questa gerarchia, spesso accade che il professore associato fa ciò che dovrebbe fare il professore ordinario ed il ricercatore fa ciò che dovrebbe fare l'associato. E siccome anche il ricercatore non vuole essere l'ultimo anello della catena alimentare, ciò che non fa lui lo farà il dottorando. Inoltre, si sottolinea sempre troppo poco il fatto che l'università riesce ad andare avanti non solo grazie al personale ufficiale ma anche grazie a quella marea "atipica" che, con l'orizzonte contrattuale di un anno, fa ricerca, lezioni, laboratori senza tutele e rappresentando una risorsa preziosa a basso costo.

Infine, tocchiamo un argomento interessante: la scoperta e le sue conseguenze. Nonostante molti amino immaginare la scienza come distante dal vil denaro, in realtà quando un'idea è buona le ricadute economiche e pratiche possono essere notevoli. Si stima che i ricercatori italiani emigrati all'estero abbiano prodotto una ricchezza in termini di valore di brevetti pari a quattro miliardi di euro. Ciò significa che il costo sostenuto per la formazione è tutto a carico dell'Italia, i profitti invece sono a favore del resto del mondo. In effetti, siamo un paese generoso. Ma perché non è facile brevettare prodotti universitari in Italia? Le ragioni sono varie ma, oltre al totale disinteresse pubblico nei confronti di ciò che si produce nelle università, una vera malattia cronica è la mancanza di un meccanismo semplice che non obblighi lo scienziato con una buona idea ad occuparsi di ciò che non conosce (burocrazia, legislazione, analisi di mercato, analisi dei costi, profittabilità). Ci sono paesi che considerano la ricerca scientifica con grande rispetto perché, se ben gestita, rappresenta un asset prezioso sotto molti aspetti e, saputo dell'esistenza di stati benefattori come l'Italia, propongono ai ricercatori stranieri delle condizioni talmente vantaggiose che rifiutare diventa impossibile. In pratica, se l'idea è valutata come interessante, il ricercatore viene aiutato sotto tutti i punti di vista fino alla commercializzazione finale del prodotto. L'ente aiutante si prenderà in cambio una buona percentuale dei profitti ed il ricercatore, oltre alla rimanente percentuale, vedrà la sua idea diventare realtà in tempi ragionevoli. In Italia, in qualche università ed istituto, esiste qualcosa di simile ma non è certo la regola. Ad onor del vero, qualcuno sostiene che un meccanismo così orientato al risultato potrebbe ridurre la creatività del ricercatore. Io penso che sia molto più pericoloso per la creatività del ricercatore il vedere le proprie idee diventare scoperte di altri solo perché si è atteso troppo aspettando fondi, personale e macchinari per realizzarle. Inoltre, il rischio di riduzione della creatività non sembra spaventare tutte le persone in gamba che abbandonano l'Italia.

Di fronte a questa situazione dolosamente sterile, i politici e l'informazione che fanno? Tirano fuori la solita storia che dovrebbe consolare il paese: il genio italiano conquista il mondo! E' vero, i ricercatori italiani spesso sono eccellenti ricercatori e quando vanno all'estero se ne rendono conto anche loro - difatti non tornano più - ma questo è un vanto solo a metà. Accanto a situazioni di evidente spreco, genealogia, fannulloneria e sindromi da "Mi sono sistemato ed ora chissenefrega", esistono ottimi ricercatori e sapere di avere un potenziale elevato in casa e poi vederlo sprecare ogni giorno per ragioni che non riguardano la ricerca ma il totale disinteresse, impreparazione e disorganizzazione è deprimente. Ed ancora più deprimente è l'uso cinicamente politico che ormai si fa di ogni cosa.