mercoledì 26 dicembre 2007

Il bambino con il cervello al posto del cuore

Tra i medici di turno
il caso destò scalpore,
quel giorno nacque il bambino
con il cervello al posto del cuore.

Il primario borbottava
ed ai suoi occhi non credeva,
il bambino era normale
ma guardava tutti e non piangeva.

Gli anni passarono
senza grandi turbamenti
ma verso i diciott'anni
si manifestarono strani comportamenti.

Delle persone giudicava
il modo di vestire,
la visione delle cose,
la voglia di scoprire.

Della musica studiava
la vita dell'autore
così da poter sembrare
un fine conoscitore.

Del matrimonio lo preoccupava
il progetto e l'organizzazione,
la forma dei rubinetti,
le tovaglie per la colazione.

Del lavoro non pensava
al piacere personale
come se in quelle otto ore
l'uomo diventasse un animale.

Di Dio si fece un'idea
davvero particolare,
lo immaginava in cielo o chiuso in chiesa
sempre pronto a giudicare.

La sua logica stringente
lo convinse a teorizzare
che a Dio interessi il rito
e non il ridere o il danzare.

Questi discorsi tra la gente
destavano clamore.
Che volete, dopotutto era un ragazzo
col cervello al posto del cuore.

Ma un giorno una ragazza
gli accarezzò la mano
e lui sentì il calore delicato
di tutto ciò che è umano.

Il senso del sentire,
dell'iride il colore,
la curva della nuca
e di una lacrima il sapore.

E fu di nuovo il cielo, la neve,
la pioggia e il mare,
le cose che restano uguali
perché tu possa cambiare.

E d'un tratto si svegliò
in una notte silenziosa
abbracciato a quella ragazza
bella più della rosa più preziosa.

Capì che era solo un sogno
e non doveva aver timore.
Chi può vivere un solo giorno
con il cervello al posto del cuore?

E alla luce di quell'alba
restò a guardarle il viso,
le baciò una spalla e lei
gli regalò un sorriso.

domenica 23 dicembre 2007

Personal Jesus

Tutto non è ogni cosa
e viaggiare non è arrivare.
Il male non è il contrario del bene
e la vita non inizia nascendo.
Quante cose insegnate
per evitare di imparare.
Quante cose spiegate
per evitare di capire.
E tutto è ciò che sembra
se lo vedi per ciò che è.
E' nella pioggia che cade sui campi
per tornare al cielo
profumata di terra.
E' nella musica che ti cerca
per arrivare a ciò che sei.
E' nell'abbraccio che lega
ciò che non è mai stato diviso.
E' nel bacio che si nutre
lasciandosi mangiare.
Da quanto tempo non torni a casa?
La ricerca del controllo.
L'inganno della serenità.
La giustificazione della noia.
Abituarsi è smarrire per sempre.
Un piccolo strappo nel cielo di carta.
Fuori la pioggia è sottile.

venerdì 14 dicembre 2007

Supermarket

Mi piace spingere il carrello nei supermercati. E' più forte di me. Se non ho il carrello mi viene voglia di spingere il carrello di qualcun'altro. E poi trovo geniale il sedile per il bambino che appare dal nulla come per magia. E' talmente essenziale come idea che esiste da quando ero piccolo e non è mai stata modificata. Non sono mai cambiati nemmeno i colori dei seggiolini: sempre arancioni o rossi, mai verdi o gialli o azzurri. Poi mi piace guardare i banchi della gastronomia con tutti quei salumi riposti sugli scaffali di legno. Mi piacciono meno i settori di caccia e pesca e quelli di elettronica dove ci sono pareti di televisori tutti sintonizzati sullo stesso canale. Lì mi viene un po' d'ansia. Ma se devo essere sincero, c'è un luogo del supermercato che odio. Un luogo dove regredisco allo stato rettile, divento competitivo e immancabilmente perdo la battaglia. Questo luogo è... la cassa. Eppure mi piace mettere le cose sul nastro trasportatore - tranne le bottiglie, che mi ostino a mettere in verticale e poi mi prendo un accidente ad ogni scossone - e vederle scorrere. Ma non divaghiamo. La vera ragione della mia ansia da cassa è legata ad una fase molto precisa: il riempimento sacchetti. Allora, io ho un ciuffo di sacchetti in mano e aspetto in fondo alla cassa che arrivino tutte le cose che ho comprato. Prima di tutto cerco di aprire il sacchetto ma i due malefici lembi di plastica restano bene attaccati tra loro. Una volta mi è venuta la brillante idea di soffiarci sopra per separarli ma dopo un po' sembravo un matto che cercava di gonfiare un sacchetto dell'Esselunga. Ma il riempimento è per me davvero la fase critica. Quando cominciano ad arrivare le cose dallo scivolo della cassa io cerco di imbustarle alla massima velocità e questo porta a due conseguenze spiacevoli. La prima è che non riesco mai ad impostare una gerarchia e le cose più delicate mi finiscono immancabilmente sotto quelle più pesanti e le bottiglie e i detersivi restano fuori perché non hanno più spazio. La seconda però è la peggiore: la cinica cassiera quando vede che io aumento la velocità di imbustamento si adegua ed aumenta anche lei la velocità di passaggio dei prodotti sulla fotocellula. E che cavolo, già sono incasinato con ragionamenti di incastri contro natura tra sottaceti e dentifricio e questa fattucchiera in divisa mi spara fuori nell'unità di tempo tutta questa roba?! Il risultato finale è che il mio scivolo è popolato da prodotti di ogni genere, la coda di persone che attende il proprio turno segue ogni mio movimento con attenzione e quella sadica di una cassiera mi fa lo sguardo tipo "sono stata più veloce io" e mi dice "faccia un po' di spazio, prego". E dove lo faccio lo spazio se mi hai sparso la roba ovunque che sembra sia scoppiata una bomba con tutto 'sto casino?! E poi, a mie spese, ho imparato che il dramma è sempre in agguato: ci sono delle bastardissime confezioni di plastica che agli angoli sono taglienti come rasoi e quando le metti nel sacchetto lo aprono in due. Ovviamente te ne accorgi solo alla fine quando le cose cominciano ad uscire di lato... a volte anche fuori dal supermercato, sul marciapiede. Allora mi sono detto, ma è tanto difficile sostituire le cassiere con delle macchine: tu metti le cose nella macchina e questa si occupa della lettura del codice a barre, dell'imbustamento e del pagamento via bancomat. Metti dentro oggetti ed escono ordinate buste già piene. Che bellezza! Allora questa sera per scrivere questo post sono andato a fare la spesa e arrivato alla cassa ho pensato adesso sto il più attento possibile per notare ogni singolo particolare, ogni singolo gesto. E la ragazza alla cassa che ti fa? In tanti anni di onorata incapacità di imbustamento non mi era mai successo. Questa mi guarda, mi fa un sorrisone e mi dice: "vuoi che i sacchetti te li riempia io?". Nooooooooooooo, e non mi devi dire così proprio questa sera che volevo dimostrare il sadismo della cassiera!! Porca vacca, in un attimo mi ha fatto tre sacchetti perfetti, un piccolo capolavoro di ingegneria strutturistica. E stavano pure in piedi da soli mentre i miei si afflosciano e mi rotola fuori sempre una bottiglia. Vabbè va, diciamo che le cassiere servono ancora. Quantomeno a sorprendermi.

sabato 1 dicembre 2007

Il nido

Nella testa,
nel petto,
nello stomaco,
nel ventre.
Il cuore è una linfa brillante
che dona tenerezza a ciò che è delicato.
Abbiamo gustato il gusto del sentire
e abbiamo sentito il gusto del gustare.
Piccole conchiglie sorprese dalla notte e dal mare.
Ogni cosa accade perché non può che accadere.
L'osso più sporgente della schiena
e dei tendini la tensione.
La forma esatta della mano
e del bacino l'articolazione.
Il labirinto dell'orecchio
e la lunghezza delle ciglia.
E il sentimento che si nasconde
dentro le gocce salate
di questa infinita meraviglia.
Condividere è lasciare entrare.
E d'un tratto sorridevi.
Piccoli rametti a costruire un nido.

giovedì 29 novembre 2007

Appunti psicoacustici #1

Cosa: Sparks, Royksopp
Dove: Milano, Corso Buenos Aires, uscita metropolitana P.ta Venezia, marciapiede destro
Quando: Sabato, ore 17.04, Novembre
Note: Cielo azzurro scuro, nuvole accese di rosa intenso, freddo pungente sul dorso delle mani, piccole folle ai semafori si muovono insieme, ragazzi camminano abbracciati

sabato 24 novembre 2007

I ciechi

Nota: in questo post non verrà mai usata la parola 'non-vedente'. Provate a chiamare una persona di colore 'non-bianco'...

Mi assegnarono ad un'associazione ciechi di Brescia. Il mio anno di servizio civile poteva così cominciare nella fulgida gloria della mia generosità. Il giovane teorico della solidarietà arrivò all'associazione una mattina che prometteva pioggia. Appena entrato vide persone che strisciavano lungo i muri palpando ogni interruttore, stipite o crepa come lucertole curiose. Una donna aveva il rossetto fuori dal contorno delle labbra e baffi di eye liner fino all'attaccatura dei capelli. Un uomo usciva dal bagno con una chiazza di urina rinsecchita sul davanti. Nei corridoi in penombra i bastoni bianchi, come antenne d'insetti, toccavano tutto ticchettando come contatori geiger. E la penombra. Le stanze avevano le tapparelle abbassate e chi stava dentro non accendeva mai la luce. Il mondo luminoso del giovane teorico della solidarietà era troppo piccolo per contenere anche questo mondo. I primi contatti sociali, imbarazzanti. Il giovane teorico della solidarietà salutava dicendo 'arrivederci'. Iniziava i discorsi con 'visto che bella giornata?'. Concludeva i discorsi con un bel 'vedremo'. Dopo una settimana lo coglieva il terrore ogni volta che un cieco gli rivolgeva la parola. Pensava tre volte prima di parlare, cercando di eliminare ogni riferimento alla luce, all'occhio, al vedere, con il risultato di rispondere sempre fuori tempo massimo. Il suo lessico si era ridotto a monosillabi e misteriosi suoni gutturali. Praticamente, una scimmia antropomorfa. Dopo due settimane il giovane teorico della solidarietà aveva una sola certezza: i ciechi gli stavano proprio antipatici. E lui lì dentro non ci voleva stare. Non era il posto giusto dove far brillare la sua incompresa generosità. La sua mansione era quella di riavvolgere i nastri delle cassette. Per chi non lo sapesse, il sistema Braille è tremendamente inefficiente perchè, per dare la possibilità al tatto di svolgere il ruolo della vista, fa diventare il verbale di una riunione condominiale grande quanto l'Enciclopedia Britannica. Per questo all'associazione i libri venivano letti da attori e registrati su cassetta. I ciechi si portavano a casa scatole nere piene di cassette e poi, una volta ascoltate, le rispedivano. Io dovevo riceverle, controllarle, sostituirle, riavvolgerle, catalogarle ed archiviarle. Una sera il giovane teorico della solidarietà accompagnò a casa Paolo, un giovane barbuto e loquace che rifiutava di usare il bastone. Andava in giro con le braccia distese davanti a sè a formare un angolo di 90 gradi con il corpo. A vederlo sembrava un sonnambulo. E cadeva. Se non cadeva, sbatteva. Ogni giorno aveva un livido o un graffio nuovo. Una volta mi raccontò di essere andato a Milano in piazza Duomo ed essere rovinosamente caduto sulle scale del sagrato. La scena era surrreale: mistica da lontanto e blasfema da vicino. Lui, povero cieco agli occhi dei più, stava lungo disteso al cospetto delle Sante Porte, ma anziché chiedere il miracolo bestemmiava come un camionista siberiano perché si era fatto un male cane. Paolo indossava camicie da taglialegna - era il suo trucco per non far vedere le macchie - ed era diplomato al conservatorio. Nella sua casa senza quadri e senza lampadine, passammo tutta la sera a parlare di Keith Jarrett e bere Beck's. Poi mi fece provare il suo pianoforte. Io schiacciai i tasti. Lui suonò.
Il giorno dopo in associazione, i ciechi mi sembravano un po' meno ciechi e un po' più persone. Con tutto quello che ne consegue. Ad esempio notai che se uno è cieco non è per questo necessariamente simpatico. Proprio come tra i vedenti, ci sono persone interessanti e meno interessanti. Sensibili e meno sensibili. Gentili e... rompipalle allucinanti. Insomma, come diceva Paolo, la commiserazione è davvero una pessima consigliera e il farsi commiserare è davvero una pessima idea. L'attenzione cominciava a spostarsi dalle categorie alle relazioni. E il giovane teorico della solidarietà, trasformato in scimmia antropomorfa dal letale virus del politicamente corretto, d'un tratto mi lasciò in pace. I miei verbi, i miei aggettivi, i miei modi di salutare tornarono quelli del vedente. Avevo smesso di ragionare da non-cieco. Cominciai semplicemente a parlare con tutti di tutto.
Un giorno l'associazione riuscì a finanziare l'acquisto di un furgone. Era stato recuperato da uno sfasciacarrozze ed aveva un'intrigante particolarità: era un vecchio furgone della Polizia. Avevano solo cancellato la scritta ma, con il suo azzurro-tristezza e il fascione bianco centrale, faceva ancora la sua bella figura. Dovevano ancora sistemarlo ma... avere un furgone della Polizia in bella mostra nel cortile... senza nessuno intorno... con le chiavi a disposizione nell'ufficio della segreteria... Bastò uno sguardo. Durante una pausa pranzo, io ed altri tre obiettori chiedemmo ai ragazzi chi volesse farsi un giro sul furgone della Polizia. Fu un plebiscito. Li caricammo tutti e partimmo per una Brescia assolata ed eccitante. L'aspetto che avevamo era molto particolare: indossavamo tutti gli occhiali da sole e facevamo un gran casino lì dentro. Potevamo essere giovani poliziotti impazziti in borghese o ladri del furgone della Polizia e, per questo, ugualmente pazzi. Ad uno dei ragazzi venne l'idea della volgarità in sharing: appena vedevamo una ragazza per strada dovevamo descrivergliela velocemente e lui, sporgendosi dal finestrino, le esternava con dovizia di particolari tutte le sue più intime fantasie urlando come un ossesso. Per profondità del dettaglio e rapidità creativa era davvero un genio. L'unico problema era che tendeva ad essere un po' lungo e spesso si ritrovava a proporre incontri orgiastici a centraline telefoniche, alberelli e cartelloni pubblicitari. Nel mitico furgone si era ormai perso il controllo, quando ad un semaforo si fermò accanto a noi una macchina nera con alla guida Evaristo Beccalossi. Appena avvisati, tutti i ragazzi misero la testa fuori e cominciarono ad urlare "il Beccaaaaa!!!". Beccalossi vide questa distesa di occhi che guardavano ovunque tranne che dalla sua parte, sollevò un sopracciglio, poi una mano e poi sparì all'orizzonte lasciandosi alla spalle un indimenticabile "il Beccaaaaa!!!". Tornammo all'associazione che ancora non era arrivato nessuno. Ovviamente non poteva finire tutto così ed organizzammo nella stanza del pianoforte un'improbabile partita di calcio. La palla erano decine di fogli A4 tenuti insieme da nastro isolante e le squadre erano miste. Non ho mai preso tanti calci in vita mia. Appena arrivava il segnale di avvicinamento palla i ragazzi cominciavano a piantare dei calci volanti degni di karateka tarantolati. Tibie, malleoli, ginocchi, nulla veniva risparmiato. Alla fine, sudati da buttare e pieni di lividi tornammo al piano di sopra, mangiammo lasagne comprate in una rosticceria lì vicino e bevemmo dello spumante di infima categoria per festeggiare l'assenza di caduti. Sfiniti e appagati. Non avevo mai visto quei ragazzi ridere così.
Passarono i mesi e di cose ne accaddero tante. Avevo cominciato con un'idea astratta di solidarietà e avevo finito con un'idea molto pratica di utilità. Dopo tanti mesi avevo capito che non esiste una sola ragione al mondo per negare il divertimento ad una persona. E se ridi le cose vanno meglio. Arrivò anche l'ultimo giorno all'associazione e questo, inaspettatamente, fu per me il peggiore.

mercoledì 14 novembre 2007

Fade out

Vivere è il mio viaggio
e scelgo il posto vicino al finestrino.
Guardare, vedere,
sentire e custodire.
Evitare di soffrire è soffrire.
Evitare di partire è rinunciare.
Ma la paura è solo un mostro
che spaventa e non uccide.
E il domani,
il ciò che è stato,
il ciò che era e non sarà mai più
sono giochi del custode quando arriva l'imbrunire.
C'è ancora il tempo per godere
di tutta questa vita.
C'è ancora il tempo per amare
questo bello sguardo che mi guarda il cuore.
E io non voglio più fuggire lontano dal sentire.
Perché la vita dev'essere vissuta
prima di doverla restituire.
Scelgo il posto vicino al finestrino,
perché vivere è il mio viaggio.
Perché vivere è la ricompensa.

domenica 4 novembre 2007

Il contatto

Calore che attraversa le membrane.
Mi ha toccato dove non sapevo di esistere.
Mi ha portato dove non sapevo di essere.
Ti pare poco un solo attimo di vita?
Ti pare poco il più piccolo tra i baci?
E' semplice se non lo giudichi.
E' delicato se resti ad ascoltare.
Le parole sono fatte di voce
che arriva dopo ciò che è già arrivato.
La chimica è il sentire.
La poesia l'assaporare.
E l'ala di farfalla è polvere di cielo
che regala il bello a ciò che ama.
In questo bel giorno che si muove e mi commuove,
questo è tutto ciò che voglio.
Questo è tutto ciò che ho.

giovedì 1 novembre 2007

L'audacia

L'audacia è per pochi.
E' di chi mette il cuore bene in vista.
E' di chi la paura non ha reso prigioniero.
E' di chi sente e non vuol smettere di sentire.
L'audacia è la dolcezza dell'adesso
e di questa notte che sa di buono.

lunedì 29 ottobre 2007

Emily #1

Bello è, nascosti, sentirsi cercare!
Piu' bello essere trovati,
se e' questo che vogliamo
e della volpe e' degno il cane.
Bene sapere e non dire,
meglio sapere e dire,
se puoi trovare quell'orecchio raro
che ti comprenda.
(Emily Dickinson, 842)

domenica 28 ottobre 2007

Here comes the rain again

Un giorno me ne stavo seduto con le gambe a penzoloni nel vuoto, sul punto più alto dell'isola di Lampedusa. Sotto di me uno strapiombo di roccia che spariva nell'acqua turchese e davanti solo il mare con un tramonto di quelli che sai già che non dimenticherai mai. Ad un tratto ho cominciato a sentire un rumore delicato ma sempre più intenso. Era la pioggia del temporale in arrivo. E' strano perché in città i temporali o ci sono o non ci sono. In mare i temporali arrivano. L'ho aspettato. E con tutto il fascino delle situazioni che cambiano mentre le senti cambiare, mi sono ritrovato per qualche attimo nel privilegio di un triangolo di sole ad osservare il mare bagnato dalla pioggia. Tutto contrastava con tutto: il calore del sole sulla pelle ed il vento freddo del temporale, i gabbiani che cantavano al tramonto e lo scrosciare dell'acqua battente, il mare cristallino ed il mare grigio e torbido. Rimasi lì, fermo a guardare mentre tutto si stava muovendo e tutto stava cambiando. La metà con il sole era bella, potente e prepotente. La metà con la pioggia era cupa, profonda, intima. Parti della stessa cosa. Dopo qualche minuto ero bagnato fradicio eppure non riuscivo ad andarmene. E' stato quel giorno che ho cominciato ad amare la pioggia. Il sole è bello e mi mette di buon umore ma la pioggia mi piace tantissimo. Come suggerisce una meravigliosa fonte d'ispirazione la pioggia stimola più sensi del sole perché la si può annusare, udire ed anche assaggiare. Si può restare nel letto ad ascoltarla oppure ammirarne le delicate ghirlande brillanti che lascia sui vetri o i cerchi perfetti che disegna nelle pozzanghere. Il fatto è che dalla pioggia fuggiamo sempre. Ombrelli, tergicristalli, impermeabili. Si cerca sempre di nasconderla, di eliminarla. Forse anche perché la pioggia spinge a stare un po' di più con sé stessi. Obbliga a guardare dentro anziché fuori. E il suono del silenzio, a volte, può essere assordante.

sabato 27 ottobre 2007

Depeche Mode's chunk #2

Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who cares
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who's there
(Depeche Mode, Personal Jesus, Mute Records 1989)

mercoledì 24 ottobre 2007

Smashing Pumpkins' chunk #1

And you know you're never sure
But your sure you could be right
If you held yourself up to the light
And the embers never fade in your city by the lake
The place where you were born
Believe, believe in me, believe
In the resolute urgency of now
And if you believe there's not a chance tonight
Tonight, so bright
Tonight
(Smashing Pumpkins, Tonight, Tonight, Virgin Records 1995)

martedì 23 ottobre 2007

Lorenzo

Celebrare. Celebrare tutto ciò che c'è di bello...

Lorenzo vive a Firenze.
Lorenzo non lo vedo mai.
Lorenzo c'è sempre.
Lorenzo lavora di giorno ed anche di notte ma quando lo chiamo non mi dice mai sto lavorando.
Lorenzo è saggio e per questo si prende in giro.
Lorenzo mi fa ridere quando sono giù.
Lorenzo mi fa ridere quando sono su.
Lorenzo ha i suoi problemi e io non lo verrò mai a sapere.
Lorenzo mi regala tutto e non mi chiede mai nulla.
Lorenzo è coerente perché vede la sua faccia nello specchio.
Lorenzo sa dare i consigli di un papà.
Lorenzo è una splendida persona.
Lorenzo è mio Amico.
Ed oggi è il suo compleanno.
Auguri di cuore vecchio mio.

domenica 21 ottobre 2007

Joy

All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
(Depeche Mode, "Enjoy the Silence")

Ci sono giorni che mi entrano dentro più di altri.
Ci sono giorni in cui il cuore si lascia mangiare dalla meraviglia e dallo stupore,
da ciò che guardo e finalmente vedo.
Istanti di risveglio che danno un senso agli anni del torpore.
La strada più lunga per tornare a casa.
Ricordare non basta.
Celebrare è dotare il ricordo di riconoscenza.
E io celebro il viola struggente del cielo all'imbrunire
che resiste al mese più crudele e ad una città che ha smesso di ammirare.
Celebro i raggi elettrici delle strade, colonne vertebrali luminose
che la musica nel mio abitacolo giapponese rende scenografia di un film perfetto.
Celebro le persone, i visi e gli occhi dietro i vetri
che la stanchezza segna e disarma, almeno per un po'.
E celebro i miei supereroi che Vivono sotto questo bellissimo cielo,
che invincibili e delicati mi donano il regalo più bello: ciò che sentono;
che mi insegnano tutto ed ogni cosa ogni giorno di più,
che mi fanno scoprire quanta vita può essere contenuta in un attimo di sole che scalda la pelle
e quale infinita bellezza esista e resista in tutto ciò che è fragile.
I miei supereroi hanno anche i superpoteri,
con lo sguardo mi toccano il cuore.
Oggi sono passato di qui.
Oggi sono felice.

giovedì 18 ottobre 2007

WYSIWYF: What You See Is What You Feel

Sono un po' giù di morale. Esco dal lavoro e fuori mi accoglie una luce giallognola pre-invernale con accenno di foschia. Alla guida tutti sembrano arrabbiati anche se stanno tornando a casa. Io rispetto i limiti di velocità e c'è sempre un deficiente che ti si incolla dietro e sfanala. Ho tanta voglia di inchiodare e farlo entrare dal baule. Non ho voglia di ascoltare la radio ma l'accendo lo stesso. L'unica cosa che sento sono aggiornamenti sull'amichevole Italia-Sudafrica, argomento di cui onestamente non mi frega assolutamente niente. Trovo finalmente una stazione che trasmette un esempio di dilettevole elettropop So 80's: State of the nation degli Industry. Gradevole senza pensarci su troppo. E il dj che fa? Decide che si annoia e taglia il ritornello con l'ultima di Biagio Antonacci. Ora, io non ho niente contro il signor Antonacci Biagio è solo che mi infastidiscono le frequenze della sua voce e i testi delle sue canzoni. Cerco qualcosa d'altro ma trovo sintonizzate alla perfezione Radio Maria, Radio Mater e GR Parlamento. Sono ancora più giù. Disastro? Giornata da dimenticare? Una bella persona mi scrive un messaggio. E' una frase. Una e basta. E' inattesa. Densa. Piena di vita piena. E mi mette di buon umore.
...e, come nelle migliori non-coincidenze, gli Industry pochi minuti prima cantavano "Don't you worry about the situation, a message from the telephone". Synchronicity. Eh eh eh.

lunedì 15 ottobre 2007

Crash

Serata strana.
Ho appena finito di vedere Crash.
Serata di non-coincidenze.
Crash è uno di quei film che non ti abbandona con i titoli di coda. Ti resta dentro anche dopo che hai tolto il dvd dal lettore e resti con la tv spenta a sentire che non è tutto come prima. Trovare un solo significato sarebbe inutile. Ogni persona è tante persone e i buoni ed i cattivi sono solo fotografie di un istante. Un attimo e tutto cambia. Un attimo e tutto resta come prima. Le cose importanti sono quelle delicate. Quelle che non fanno rumore. Quelle che nessuno può vendere e che nessuno può comprare. Non le trovi in vetrina né in prima serata. Ma ci sono. E sono ovunque. Il peggior nemico delle cose delicate non è la brutalità ma l'indifferenza. Si può essere assassini senza uccidere. Ladri senza rubare. L'indifferenza è la nuova disciplina. La insegnano ovunque. Fai quello che vuoi ma stai lontano da quella pericolosissima cosa che hai in mezzo al petto. E così cominci a non sentire che le persone che hai intorno sono tutto quello che hai. E tra queste ce ne sono alcune così preziose che possono cambiarti la vita. Sentire le cose delicate porta ad avere cura.
Non dare nulla per scontato.
Non soffocare quello che senti.
Mettici tutta la cura che puoi.

domenica 7 ottobre 2007

Katherine's chunk #2

Ricetta: dolce alla Wingley.
Riempite di panna un piatto di vetro. Mettetelo sul pavimento e andate via, chiudendo la porta e lasciandomi nella stanza.
Wing

(Katherine Mansfield, Diario. Dall'Oglio)

domenica 23 settembre 2007

La Mosca

In uno dei commenti al post 'Quello che le donne odiano degli uomini' Mente Rossa mi chiedeva di parlare della mosca. Al momento mi rifiutai ma un aneddoto me l'ha fatta tornare alla mente, quindi...

Quest'anno sono stato in vacanza in Olanda. Vicino ad una diga sul Mare del Nord, in un autogrill, con disinvoltura ho buttato giù un caffè aromatizzato alla nocciola ed una polpetta cilindrica fritta ripiena di pezzi di carne spappolata con formaggio liquido incandescente. Era chiamata La polpetta della nonna e dopo il primo morso ho augurato alla nonna un lungo - diciamo pure eterno - riposo lontano dai fornelli. Subito dopo ho fatto un giretto in bagno ed ecco che dentro al vespasiano, buona buona, trovo lei: la mosca.


Dunque, procediamo con ordine: noi maschietti quando facciamo la pipì tendiamo spesso a lasciare tracce del nostro passaggio. Nei casi meno gravi si tratta di schizzi indiretti, nei casi più gravi il vaso viene mancato clamorosamente. Tralasciando questo secondo caso che qualifica il responsabile come dotato di un sistema nervoso molto semplificato, mi soffermerò sul primo. E' evidente a tutti che diverse variabili intervengono nella generazione di schizzi indiretti: si va dall'altezza del soggetto fino alla geometria delle pareti del wc. Si può ipotizzare l'esistenza di un angolo ottimale d'impatto che minimizzi la riflessione e quindi gli schizzi, ma il vero problema è: determinato questo magico punto, come indurre il maschio urinante a colpirlo? Ed ecco l'idea geniale: disegnare in quel punto una mosca.
In effetti, una delle cose che il maschio sa far meglio è concentrarsi nel colpire un obiettivo. Passa la vita a cercare bersagli da centrare. Fionde, sassi, cerbottane, joystick, palle, giavellotti, pistole, missili sono il suo armamentario. Finestre, gatti, astronavi, birilli, canestri, porte, fagiani, persone i suoi target. Non conta il grado culturale, lo status sociale o l'orientamento politico: la sua visione, seppur in contesti differenti, è quella del cacciatore. E se non c'è l'obiettivo? Se lo inventa. Lasciato in compagnia di sè stesso, l'uomo vede la tazza smaltata come il campo di battaglia e qualsiasi ombra intacchi il bianco candore diventa il nemico da punire con il paglierino getto vendicatore. Ed ecco che la mosca disegnata ad hoc nel punto di minima riflessione diventa un'attrazione irresistibile per l'antico guerriero che attacca senza pietà, accanendosi allo spasimo fino alla meritata vittoria (o allo svuotamento della vescica che però lascia sempre un po' di amaro in bocca).
In fondo, siamo organismi semplici.
Tutto questo è molto interessante, se non fosse che mentre scattavo foto come un forsennato al water con il mio cellulare, un tizio usciva dal bagno dietro di me. Mi ha guardato inespressivo mentre io cercavo le angolazioni migliori chinato sulla tazza. Avrà pensato fossi il pioniere di un nuovo genere feticista, ma gli olandesi sono gente abituata a tutto: un'alzata di spalle e si è allontanato lanciandomi uno sguardo complice... Bah.

mercoledì 19 settembre 2007

Eurythmics' chunk #1

Some of them want to use you
Some of them want to get used by you
Some of them want to abuse you
Some of them want to be abused
(Eurythmics, Sweet Dreams (Are Made of This), RCA Records 1983)

mercoledì 12 settembre 2007

"O Lille o Morte!" - Terza ed ultima parte

Dai servizi segreti della capitale arriva tosto il dispaccio con la notizia che l'automatico orsoide Carlone potrebbe essere recluso in un casolare della temuta e selvaggia campagna belga. Rapidi come il baleno nell'àere bruna di cieli tempestosi, i Tre samurai, con impeccabile e silenzioso passo del giaguaro, si portano sull'obiettivo.

Fecchia manifesta i primi segni di umana e comprensibile tensione.


Barbagli lo rincuora promettendogli al ritorno una virile camicia Acca ed Emme color pervinca, collezione autunno-inverno, fianchi sagomati e doppio bottone al polsino. Fecchia gradisce e, deciso, afferma: quando il gioco si fa duro i duri indossano Acca ed Emme!

Ed ecco che i Nostri erculei beniamini, per riuscir a far breccia nel mostruoso casolare, adottano il loro migliore travestimento: il suonatore di marimba uzbéko. Perfetta la strategia mimetica, irriconoscibili agli occhi dei più. Quindi, con il mestiere e l'ardire di attori consumati, si fingono avventori affamati e chiedono cibo al nemico. L'ingenuo ragazzotto belga che li accoglie abbocca inconsapevole al raffinato trabocchetto. Senza esitare, li fa sedere all'umile desco.


Ed è così che ha inizio la serie dei poveri piatti da parca cucina dei semplici.

Il frugale antipasto:



La miserrima minestra di ceci e lupini:


Il minuto, e per questo commovente, dolcetto di ghiande e carrube:


I Tre Temerari sono nel pieno delle loro facoltà fisiche e mentali, giammai offuscate da quell'effeminato liquido paglierino chiamato 'bière'.


Decidono così di complimentarsi con il cuoco Orazio. Il forte e gentile Barbagli, senza esitare, esegue.


Ma attenzione! D'improvviso una pista insperata! Al suo ritorno, Barbagli, sotto il desco, trova un messaggio lasciato dall'automatico Carlone.

In codice cifrato su supporto di ardesia, l'astuto Carlone scrive:
S-c-e-m-o
c-h-i l-e-g-g-e.
F-o-r-z-a
j-u-v-e.


Barbagli e Fecchia si compiacciono della rapidità con cui il C.O.B ha appreso i fondamentali pilastri della cultura italica. Ma è il bambino Bruno Caorso che, impaziente, si lancia in una temeraria decodifica: permutando le lettere con una serie inversa di Fibonacci e disponendo a doppia evolvente di cerchio su triangolo di Tartaglia le sole consonanti successive alle prime tre lettere del sinonimo greco di ogni parola, l'imberbe ottiene un nuovo sconcertante risultato:
F-r-u-s-h-t
B-o-b-b-l-e
S-g-u-r-z
A-h-i
P-a-l-o-m-a
.

Fecchia resta interdetto. Barbagli guarda Fecchia, poi guarda Caorso che guarda Fecchia e ancora Barbagli. Fecchia guarda Caorso ma non guarda Barbagli che smette di guardare Fecchia ma vorrebbe guardare Caorso. Caorso non guarda Barbagli e non guarda Fecchia. Così che, non si sa da dove, un poderoso sganassone si assesta sul cranio del bambino insolente.

Ma Fecchia, d'un tratto, ha il lampo del genio maschio ed urla: l'ultima parola è Paloma! E' Paloma che dobbiamo contattare!
Paloma è un'ex-prostituta trapanese esperta in giochi ad alto contenuto erotico quali la canasta ed il sudoku. Segue tutte le serie televisive trasmesse dal suo luminoso cinescopio Philco, ma solo via satellite per sapere prima degli altri come vanno a finire. Fecchia la conobbe qualche anno fa a Milano durante l'inaugurazione del primo negozio Acca ed Emme e, si vocifera, che il loro incontro fu torrido e passionale dentro un angusto camerino. Oggi lei lavora in terra d'Oltre Alpe ma nessuno sa dove. La sua caratteristica è quella di offrire preziose informazioni per via rigorosamente telefonica. Per evitar sospetti ed intercettazioni, i Nostri decidono - come appreso dal dinamico e frizzante ispettore Derrick - di contattarla da un apparecchio pubblico nella buia metropolitana di Lille.

Ma l'impudente balillo Caorso urla e pesta i piedi per telefonare lui medesimo alla fascinosa Paloma. Barbagli e Fecchia, indomiti ma dal cuore di burro, acconsentono per farlo felice. Caorso afferra la cornetta, compone il numero ed avido come un varano in una vasca di Nutella aggredisce Paloma urlando: Paloma! Christian di Nip&Tuck è gay o no?! Parla Palomaaaa!


Barbagli prontamente gli sottrae l'apparecchio e, mentre Fecchia tiene fermo l'indomabile imberbe, in posa marziale


ascolta la suadente voce di Paloma dire: se è Carlone che cercate, allo zoo lo troverete... e dì a Fecchia che in quel camerino mi ha fatto sentire donna.

Che zoo sia, dunque! Arrivati in loco, i Tre impavidi devono fare subito i conti con bestie di ogni fattezza, genere e dimensione. Mostri con una testa, quattro zampe e, talvolta, financo una coda.

Sulla destra hanno il Kiru kopio: mammifero antropomorfo rapidissimo nel fare le fotocopie.


Sulla sinistra, la Magladicica mesontogonica: mammifero notturno che mima barzellette oscene senza ricordare mai il finale.


E dietro, il Cremaster bombogundam: mammifero ipercinetico che si nutre di Big Babol ma non disdegna Calippo alla Coca Cola.


Ed ecco la sorpresa!!!
L'incredibile novella!!!
Ecco la vista inaspettata!!!
I Nostri scultorei beniamini non credono ai propri occhi!
D'improvviso, appare lui!



CARLONE... CAPOTRENO!
Al suono di un gentile ciuff ciuff, tutto torna chiaro. Carlone non è stato rapito dalle forze del male rosso. E' solo fuggito dal suo destino.

La prima parola di Barbagli: Incredibile!
La prima di Fecchia: Incredibile!
La prima del bambino Caorso: Coppetta con due palline, bacio e gusto puffo.
Potenti sul Caorso arrivano due sganassoni in stereofonia: uno per l'assenza di nesso ed un altro perchè nemmeno Cristina D'Avena mangia più il gusto puffo.

Ma si sa, è nei momenti difficili che nascono sentimenti nobili. Fecchia e Barbagli si chiedono se esista una sola ragione per rattristare il mite Carlone richiamandolo al suo dovere. Lui, l'orsoide buono, nato per la guerra e divenuto capotreno. Perché interrompere il sogno dell'irsuto mammifero che l'uomo ha voluto glaciale e gli eventi hanno reso gentile? Giammai!
Barbagli sentenzia: meglio un giorno da capotreno felice che cento da orsoide co.co.pro!
Fecchia lo abbraccia commosso.

E per entrambi, un pensiero vola alla madre.
E' tornato.
Vola ancora alla madre.
E' tornato di nuovo.

Ma quando il pensiero segue la traiettoria del cuore, l'uomo d'azione comprende che è giunto il tempo del congedo. Barbagli e Fecchia devono lasciare l'insidiosa Lille per tornare al Paese che più amano. Il Paese dei navigatori, dei pittori, degli inventori. Il Paese della politica nobile, dei musei meravigliosi e delle donne bellissime. Il paese del tricolore: l'Olanda.

Un ultimo virile saluto al bambino Caorso - au revoir, enfant terrible - e via!



Epilogo: oggi, Barbagli e Fecchia vivono felicemente in Olanda nella città di Gouda. Qui hanno brevettato un nuovo processo produttivo per fare i buchi nel formaggio che li ha resi ricchi e famosi. Barbagli ha inoltre dato vita ad un esercito privato per il controllo demografico, mediante uso di esplosivi, dell'insidiosa mucca Frisona. Qui lo potete vedere mentre passa in rassegna l'orgogliosa truppa.


Fecchia è stato nominato da Barbagli Sovrintendente Capo Supremo dell'efficientissimo esercito.



Fine


Note dell'autore: i fatti citati non sono frutto di fantasia ma sono realmente accaduti nell'arco di tre giorni trascorsi a Lille nell'Aprile 2007. Dichiaro inoltre, sotto la mia responsabilità, che al bambino Bruno Caorso non è stato torto un capello e Carlone l'Orso Burlone non è stato oggetto di alcuna tortura.

E un pensiero vola a Corrado Guzzanti.
E' tornato.

domenica 2 settembre 2007

"O Lille o Morte!" - Seconda Parte

Il ricordo di Fecchia che arringa fiero le masse in raffinata tenuta Acca ed Emme dura un istante esatto, né di più, né di meno, ed è già tempo per i Nostri gladiatori di addentrarsi nella infida arena che prende il nome di Lille. Già, Lille. Che vuol dire Lille? Forse, un femmineo colore? No! Forse, una storpiata canzonetta di Venditti Antonello? Nemmeno! Lille, tradotto fedelmente dal primitivo idioma delle genti di Fiandra, vuol dire luogo ove se non hai paura significa che sei già morto quindi inizia a toccarti i maroni, vaccaboia. Barbagli, esperto di lingua e moschetto, comprese subito la pericolosità del compito affidato. Tacque però, per il bene primo della missione, della patria e dell'acconto per il volo pluto-marxista-sodomita già versato.
Momento di maschia commozione.
Finita.

Ma ecco che il bambino Bruno Caorso conduce con cipiglio risoluto gli Eroi verso il suo poderoso automezzo. Nel baule gli oggetti che contraddistinguono l'Uomo che sa vivere: una coperta, due bidoni di fertilizzante, una scarpa da ginnastica - la destra! - e mezzo panino secco. Alla guida il bambino Caorso è rapido e sportivetto e ad ogni sorpasso, il pestifero infante, apostrofa il sorpassato con amichevoli frasi idiomatiche quali: tua sorella suona il piano e lui la tromba. Fecchia ride alle garbate facezie. Barbagli resta cupo: il nemico potrebbe essere ovunque.

Solo giunti al quartier generale Barbagli si rilassa. Il luogo è sicuro e inattaccabile. I tre bronzi di Riace suggellano lo scampato pericolo urbano con un nerissimo caffè sorbito in impeccabile posa marziale, come a dire: mi riposo ma con vigore!


Ma si sa, il nero caffè, per l'Uomo di polso italico, chiama una sola cosa: il più classico, antico e praticato sport della romana penisola. Il Gioco del Maschio Dardo Acuminato.
La sfida è serrata ma non c'è storia: Barbagli con fanatismo futurista dà spettacolo. Senza fallo - nel senso che non sbaglia, perbacco! - propone in sequenza le migliori posizioni di questo ardito e faticoso sport:
- Posizione 39: la Retroversa, anche detta del Granchio barbuto;


- Posizione 51: la Comoda, anche detta del Gufo che ti guarda e non ti dice nulla;


- Posizione 78: la Napoletana, anche detta del Cobra a palloncino;


- Posizione 94: la Vaporella, anche detta del Gecko molesto;


Tutti centri pieni e gagliardi! Bene! Bravo Barbagli!


Fecchia sbotta sincero: che talento!
Il bambino Caorso di rimando: che culo!
E si prende un sacrosanto sganassone.

Ma cosa distingue l'Uomo dall'ometto? La 'U' maiuscola ed 'etto'? Giammai! E' l'inattaccabile senso del dovere. I Nostri sono qui per una missione e la missione porteranno a termine, costi quel che costi. E quale compito è stato assegnato da Roma agli Indomiti Nostri Unici e Soli? Forze rosse hanno tramato nell'ombra e sono riuscite nel criminale e cinico intento di sottrarre al bambino Bruno Caorso l'ultima meraviglia e vanto della Italica ricerca scientifica: l'automa prototipo C.O.B. (Carlone l'Orso Burlone). L'imberbe infernale Caorso aveva scambiato il raffinato automa Carlone per un simpatico peluche e solo con esso si addormentava sereno. E proprio durante il suo profondo sonno bambino è avvenuto il facile ratto. Dove sarà nascosto Carlone? A che tipo di torture lo staranno sottoponendo? E' tempo di agire!

Ma ecco che un attimo prima di prendere la via dell'ignoto, Fecchia, fine conoscitore della pittura primitiva, nota sui muri del quartier generale un simbolismo arcaico non nuovo all'occhio dello studioso preparato.


Senza indecisione alcuna, sentenzia: periodo proto-neanderthaliano. Postura semi-eretta!
Molto eretta! - chiosa con sulfurea ironia il bambino Caorso.
E si prende un altro sacrosanto sganassone.

Ma dove sarà Carlone l'Orso Burlone? E i nostri eroi riusciranno a ritrovare il raffinato automa tenerone? Ed è vero che le donne quando dicono no è sì? E il caffè bisogna berlo amaro? E le doppie punte sono un problema risolvibile? Questo e tanto altro ancora nella terza ed ultima vigorosa puntata di "O Lille o Morte!".

venerdì 31 agosto 2007

Here is the house

Però anche tornare a casa non è male...
Ben ritrovati.

giovedì 2 agosto 2007

Holiday Celebrate


Ok, ci siamo.
Vacanza.
Giorno sacro = holy day.
Vacans = esser vacuo, libero.

Ho voglia di non lavorare per un po'.
Di non guardare le cose dai monitor.
Di mangiare e sentire che sto mangiando.
Di svegliarmi perché non ho più sonno.
Di decidere all'ultimo momento e poi cambiare idea.
Di non sapere come andrà a finire.
Di lasciar perdere.
Di lasciarmi in pace.
Per un po'.

Enjoy the silence (and Life).
Buone vacanze da Otty, Ottavio e me.

sabato 21 luglio 2007

"O Lille o Morte!" - Prima Parte

I Protagonisti

Da sinistra Fecchia (Fede), il bambino Bruno Caorso (Gael), Barbagli (Otty)


Fieri e gagliardi, i migliori frutti di questa nostra orgogliosa Italia, Barbagli e Fecchia accettano con sublime coraggio l'ardua missione loro dall'Alto affidata. Con spirito indomito e pronto alla pugna partono senza 'se' e senza 'ma' per la terra d'Oltre Alpe. 'Obbedisco!' la loro parola prima. "Perire giammai!" la seconda.

Nel tripudio tricromatico dell'operoso popolo bergamasco che festante saluta la dipartita degli Eroi, Barbagli e Fecchia subiscono il primo scandaloso affronto: il bimotore alato che la memoria tosto fa correre all'impresa dannunziana ed ormai pronto al decollo, è rosso!


Feriti nel cuore ma non nell'impavida risolutezza - giammai! - Barbagli e Fecchia imbarcano i loro granitici corpi sull'aeromobile pluto-marxista-sodomita. Ed ecco il secondo imperdonabile affronto: il sedicente capitanuccio Giorgetti, uomo di dubbie capacità amatorie, relega i nostri prodi ove è assente l'opercolo verso l'infinito!


Come nutrir la poesia che alberga nei cuori dei due virgulti? Come rimarginar la ferita di un coraggioso viaggio senza nubi aver rimirato? In Barbagli e Fecchia monta irrefrenabile la voglia di evirare il rosso ed efèbo Giorgetti.


Ma a qual fine consumar cotanta energia se il viaggio ancor non è cominciato? La saggezza e la calma del Giusto risiedono nella mente dei Nostri e Fecchia, genuino e mai domo, sbotta con un orgoglioso: "Me ne frego!". Senza perdersi d'animo - giammai! - Barbagli e Fecchia occupano il tempo in allegre ed italiche facezie che immuni rende loro dal vigliacco boicottaggio bolscevico.

Ma ecco l'arrivo a Lille. Barbagli, forte e gentile, indossa, in onore del popolo ospitante, il caratteristico copricapo che caratterizza da secoli le genti d'Oltre Alpe.


Sulla scaletta dell'aeromobile pluto-marxista-sodomita è il tripudio. La folla lo osanna e lo acclama - "Barbagli Président!" - e lui, salutante, non si nega.

Dopo le foto e gli autografi di rito, l'incontro con il terzo prode del gruppo: il bambino Bruno Caorso. Caorso ha 43 anni e risiede col maschio ardore che la femmina non disdegna in quel di Lille. Emulo di Chuck Norris, ama mangiare la pizza con le mani e, talvolta, anche con i capperi (di suo cugino). Appena visionato il copricapo di Barbagli non attende attimo per esprimere tutta la sua approvazione.


"Scelta perfetta nelle tinte come pure nel modello. Un vero francese tu appari, mon ami!" le sue fedeli e toccanti parole.

Poi, rivolto a Fecchia chiede ove Barbagli possa aver mai acquistato un così elegante e tradizionale copricapo e Fecchia con decisione cristallina e senza ombra d'imbarazzo risponde: "Da Acca ed Emme, perbacco! Il negozio più maschio ed italiano della romana penisola, ove anch'io rifornisco me medesimo con gusto ed eleganza".


Ed il ricordo di Fecchia vola al giorno in cui, con lo stile asciutto dell'uomo che non pensa ma agisce, arringò le masse di Nepezzano nel corso della tavola rotonda "L'arrosticino abruzzese: archetipo del prèt-à-porter". Eccone testimonianza d'archivio mentre si concede fiero ed impeccabile alla stampa .


Ma cosa attende i nostri eroi in terra straniera? Quali insidie dovranno affrontare? E con quali prove si dovranno misurare? Tutto questo e molto altro ancora nella prossima potente puntata di "O Lille o Morte!"

mercoledì 18 luglio 2007

Katherine's chunk #1

...Scrivetemi ancora;
quando non siate troppo di cattivo umore
e non tutto vi sembri impostura.
Per oggi: addio!
Con tutto il mio amore
rigorosamente relativo.
(Katherine Mansfield, Diario. Dall'Oglio)

lunedì 16 luglio 2007

So 80's

Cyndi Lauper
(Photo by Unnforgettable)

Allora, non è che ci si affeziona sempre e solo alle cose belle. Mia nonna aveva in cucina delle piastrelle orribili e tutte le volte che le guardavo pensavo che schifezza. Io crescevo, cambiavo modo di vestire, cambiavo atteggiamenti, cambiavo linguaggio ma le piastrelle restavano sempre lì, brutte come poche. Dal latte con i biscotti, passando per i ravioli di ricotta fino all'agnello al forno queste piastrelle rappresentavano una specie di scenografia surreale del buon mangiare e con il tempo diventarono una certezza, l'icona della cucina di mia nonna. Oggi le piastrelle sono ancora lì e quando le rivedo penso sempre che schifezza, però è diverso perché mi dispiacerebbe non rivedere quella schifezza dato che è un po' diventata la mia schifezza. Ci sono affezionato. Si ma che c'entra questo con il titolo del post? C'entra perché secondo me la musica degli anni '80 è esattamente come le piastrelle della cucina di mia nonna: tanto brutta quanto indimenticabile. E alla fine ti ci affezioni. Io in quel periodo non ero né un paninaro né un dark. Mi vestivo normalmente e non frequentavo compagnie schierate dall'una o dall'altra parte. Però la musica... quanta musica c'era. L'ascoltavo in continuazione ed occupava gran parte delle mie giornate. Divoravo Dj Television durante la settimana e Superclassifica Show la domenica, il sabato pomeriggio era dedicato alle Hit100, Hit50, Hit25 e Hitquellochetiparebastachemidicichièprimo. E poi arrivava l'estate. Al mare i miei nonni dormivano il pomeriggio e io mi sedevo sul balcone ad ascoltare Rete105, Gianni Riso e l'Olandese Volante. C'erano i rumori della strada, i pini marittimi, il caldo e le cicale. Verso le 15 si andava in spiaggia e la musica non ti abbandonava neanche lì. Dopo il bagno mi sedevo sulla sabbia a mangiare pizze e frittelle di dimensioni imbarazzanti e mentre pensavo che il paradiso fosse quel pezzettino di Adriatico, Cyndi Lauper e i Tears for Fears, sparati chissà da dove nel cielo del tramonto, mi davano ragione. Quando il sole asciugava le goccioline di mare sulla pelle, Time after Time o Everybody Wants to Rule the World erano letali: io sistematicamente mi innamoravo. Ragazze carine diventavano dee e racchie clamorose un tipo. Potenza della musica.
L'altro giorno ho fatto vedere su YouTube il video di Time after Time a Fede: Cyndi Lauper vive in una roulotte col suo uomo che porta sempre un cappello e sente il bisogno di cambiare aria. Una sera in un bar si presenta a lui con una raccapricciante capigliatura a scacchi e ci resta male perché lui - giustamente - non le dice che è una strafiga. Lei scappa e ripensa com'era bello starsene da mammà che, ovviamente, è povera e per sopravvivere scopa sempre con mestizia, nel senso che fa le pulizie con una faccia da funerale. Cyndi belli-capelli comunica il suo malessere esistenziale al maschio col cappello e lui l'aiuta a fare la valigia (ecco, io qui piangevo). Cyndi e lui alla stazione, si amano ma si devono lasciare (?!), arriva il treno, lui ci resta di merda, lei fa il segno della 'T' con le mani, la musica sfuma e tanti saluti. Fede non la smetteva più di ridere e io ho pensato che il video effettivamente facesse un po' cagare. Però è difficile da spiegare. La musica a volte non è bella in sè ma è bella perché ti fa ricordare cose belle e, alla fine, ti ci affezioni. Scenografia surreale del sentire. E' proprio come le piastrelle della cucina di mia nonna.

lunedì 9 luglio 2007

Depeche Mode's chunk #1

Precious and fragile things
Need special handling
My God what have we done to You?
We always try to share
The tenderest of care
Now look what we have put You through...
Things get damaged
Things get broken
I thought we'd manage
But words left unspoken
Left us so brittle
There was so little left to give
(Depeche Mode, Precious, Mute 2005 )

giovedì 28 giugno 2007

Precious

Se ripeti una cosa alcune volte diventa credibile.
Se la ripeti tante volte diventa vera.
Sei adulto. Sei una persona con delle responsabilità. Hai una moglie. Hai un marito. Hai dei figli. Hai una casa. Hai un lavoro. Hai una lavatrice. Domani comprerai un'aspirapolvere. Il fine settimana si pulisce la casa. Il nome sul citofono. Il nome sulla cassetta della posta. Il nome sulla porta. Il nome sulle buste.
Se una cosa la ripeti tante volte diventa vera.
E' così per tutti, perché non dovrebbe esserlo anche per te? Non cambiare niente. Non toccare niente. Lascia tutto così com'è.
Quando eri piccolo eri felice.
Adesso però sei grande. Non ti preoccupare. Succede a tutti quindi è normale.
Se lo ripeti tante volte diventa vero.
Se lo ripeti tante volte diventa vero.
Ma hai un nemico. E questo è davvero pericoloso.
Un giorno succede qualcosa. L'imprevisto. La cosa che non doveva succedere.
E di colpo lo vedi.
Abita in mezzo al petto. Ed è sempre stato lì.
Quando eri piccolo eri felice. Quando eri piccolo lo sentivi.
Adesso sei grande e insegni anche tu come morire prima di morire.
Non essere affettuoso perché è ridicolo.
Non innamorarti troppo perché soffrirai.
Non cambiare nulla perché è pericoloso.
Non fare ciò che ti piace perché ci sono cose più importanti.
Il tempo passa. Le cose che non hai fatto. Le cose che non hai detto.
Lui però è ancora lì. In mezzo al petto.
E quel giorno lo hai sentito di nuovo.
Tu non sei andato via.
Hai solo scelto la strada più lunga per tornare a casa.

domenica 24 giugno 2007

Sesso, bugie e bottoni

L'altro giorno ero in metropolitana e stavo ascoltando i discorsi di due ragazze sedute dietro di me. Una raccontava all'altra una storia già sentita mille volte: il fidanzato va a letto con un'altra e lei lo viene a sapere. Che fare? Le brillanti opzioni sul tavolo erano 3:
1. Gli stacco i maroni mentre dorme
2. Non gliela dò per un mese
3. Lo perdono
Si accordarono per un mix della seconda e la terza: il mondo non ha perduto due testicoli e non ha guadagnato una carcerata. Confortante.
Fin qui tutto abbastanza scontato. Interessanti però erano le ragioni del perdono: era ad una festa, aveva bevuto, ha perso i freni inibitori, lei era una gran zoccola. Tutto sommato lui ne esce scagionato perché, infondo infondo, lui non era proprio lui, era un lui così così, un po' lui e un po' boh.
Ne vogliamo parlare un attimo? Parliamone.
Nel mio armadio ci sono 25 camicie. La media di bottoni per camicia (escludendo quelli del colletto) è circa 9. A questi bisogna aggiungere i bottoni dei pantaloni, eventualmente la zip e, spesso, la cintura. Infine, ci sono le scarpe che spesso hanno le stringhe. Per le donne vale un discorso analogo, al quale però bisogna sommare trappole micidiali quali gancetti del reggiseno, fermagli per capelli e collant. Insomma, per arrivare nudi alla meta bisogna passare attraverso un rito di spogliazione che, se fatto in modo incrociato (lui spoglia lei e lei spoglia lui), può generare configurazioni siamesi indivisibili e richiedere l'intervento dei pompieri. Ora, tralasciando i casi in cui i vestiti vengono strappati con vigorosa passione (poi però il novello Hulk dev'essere estremamente credibile nello spiegare alla cornificata che gli succede solo quando si arrabbia), l'abbigliamento migliore per il tradimento è il saio. Certo però che presentarsi da una tipa vestito da frate potrebbe non risultare attraente. E' curioso notare come si è passati dalla cintura di castità localizzata al bottone di castità diffuso. Ma non divaghiamo: la tesi di questo post è che la storiella del 'lui non era in lui' è sempre in voga ma poco credibile. Chi riesce da quasi lui a completare indenne il lungo rito dello slacciamento, sganciamento e sfilamento non è poi così fuori di sè. Diciamo più semplicemente che in quel momento gli va di fare quello che sta facendo. Detto questo, se fossi nei panni di una donna tradita, non opterei per l'ipotesi 'staccamento dei maroni'. Una lunga, intensa e reiterata pressione del ginocchio sulle gonadi però...

mercoledì 20 giugno 2007

Franco's chunk #1

Nelle metro giapponesi, oggi
macchine d'Ossigeno.
Più diventa tutto inutile
e più credi che sia vero
e il giorno delle Fine
non ti servirà l'Inglese.
...E sulle biciclette verso casa
la Vita ci sfiorò.
(Franco Battiato, Il Re del Mondo, EMI 1979)

mercoledì 13 giugno 2007

Quello che le donne odiano degli uomini

Qualche giorno fa mi è venuta voglia di sapere cosa le donne non sopportano degli uomini. Al quesito diretto, il pattern di risposta femminile è più o meno il seguente:
- Fase 1: innesco del modo restoschisciachemalenonfa. Generazione di frasi topiche quali mah non saprei..., ci dovrei pensare..., così su due piedi non mi viene niente...
-
Fase 2: prime avvisaglie di tempesta imminente. Lo sguardo da schivo si fa fiero. Dopo un blando antipasto di difettucci maschili all'acqua di rose si passa ai piatti forti. Fanno capolino locuzioni del tipo aaah poi questa è veramente odiosa..., se c'è una cosa che non sopporto..., aspetta aspetta aspetta questa te la devo dire perché fa proprio schifo... Tu, rappresentante del sesso opposto, cominci, piano piano ma inesorabilmente, a sentirti una merda.
- Fase 3: gli argini si sono rotti. Il monologo tracima travolgendo l'intero universo maschile. Anatomia, fisiologia, estetica, comportamento, psicologia: nulla sfugge all'ira funesta. Per farle smettere bisogna sedarle.
Il risultato di tutto ciò è una bella lista di nefandezze. Ovviamente non è esaustiva e nemmeno condivisa da tutte in tutte le sue parti, però ha il pregio di essere stata stilata solo ed esclusivamente da donne e quindi qualcosa vorrà pur significare. Io difenderei volentieri la categoria a cui appartengo ma non lo farò perché molti punti hanno come unico difetto il fatto di essere veri, quindi c'è poco da difendere. La lista - a parte l'eliminazione delle ridondanze e la sintesi di qualche concetto - è trascritta così com'è, nuda e cruda. A proposito: sapete qual è il difetto più ricorrente riscontrato nell'uomo? Sua madre.
Grazie a tutte per la sentita collaborazione.

Quello che le donne odiano degli uomini:
- Il non ascoltare
- Il non rispondere alle domande
- Il marsupio
- Il far finta di aiutare generando solo confusione
- Il lasciare il lavoro a metà nelle faccende domestiche
- La mutanda al posto del boxer (non parliamo poi di quella con l'apertura davanti)
- La canotta sotto la camicia e la canotta in generale (esclusi i modelli)
- La camicia slacciata troppo (diciamo dal terzo bottone in giù)
- I calzini corti
- Il non tirare giù/su la tavoletta del water
- Il parlare solo di sport
- La ciabatta
- Lo sbraco dopo qualche anno (rutto incontrollato e altri gas)
- L'ipersensibilità a gravi patologie quali il raffreddore
- Il chiedere alla mamma e l'essere mammoni in generale
- Le ossessioni erotiche tipiche: il rapporto anale, il rapporto orale, l'orgia con più donne e le lesbiche (sempre strafighe, ovviamente)
- Il non sapere dove sono in casa le cose di uso comune
- Il fare solo la 'scrollatina' anzichè usare la carta igienica
- Il ritenere gli amici maschi della fidanzata sempre cretini
- Il non chiedere mai informazioni quando non sanno la strada
- Il mettere tutti i loro oggetti nella borsa di lei
- Il non ricordarsi gli appuntamenti
- Il semplificare le cose
- Il voler avere sempre ragione
- Il negare l'evidenza
- L'essere disordinati e poco organizzati
- L'essere maschilisti
- L'essere arroganti
- L'essere egocentrici
- L'essere narcisi
- Il dimenticarsi le cose che contano
- L'avere difficoltà con gli elettrodomestici
- Il non centrare il water
- Il guardare sempre e solo il culo e le tette delle donne (ma mai quelli della fidanzata/moglie)
- L'essere premurosi con le donne altrui
- Il portare i fantasmini/le pedaline e toglierseli per ultimi durante
la svestizione
- Il non chiedere per paura di sapere
- Il guidare come se avessero il fuoco sotto al culo
- Il considerare la scelta di un regalo piu' complicata del lancio dello shuttle (e se falliscono ci rimangono anche male)
- Il pensare che loro non sono lenti ma è lei che è schizzata/isterica
- Il non dire mai TUTTA la verità (a volte neanche mezza)
- Il non poter vivere senza almeno una donna (1 <= almeno < infinito)
- Il ragionare quasi SEMPRE con l'attributo

domenica 10 giugno 2007

Guida pratica per diventare vecchi

1. Frequenta solo persone che sai già cosa pensano prima ancora che parlino
2. Fai sempre la stessa strada, mangia le stesse cose e conserva le tue abitudini
3. Guarda tanta televisione
4. Pensa ad una cosa che ti renderebbe felice e non farla
5. Non sorprendere mai nessuno, soprattutto chi ami
6. Pensa che lo puoi fare domani
7. Usa spesso la parola oramai
8. Pensa che non è colpa tua
9. Vedi la routine come l'inevitabile destino delle cose
10. Smetti di festeggiare il tuo compleanno
11. Pensa che chi ride molto è una persona poco seria
12. Impedisci a te stesso - ma soprattutto agli altri - di fare una sana cazzata
13. Continua a scambiare la tua noia per serenità
14. Non affrontare le crisi
15. Smetti di amare follemente ciò che ami
16. Pensa che nessuno ti abbandonerà mai
17. Non pensare che di vita hai solo questa

giovedì 7 giugno 2007

Chuck's chunk #1

Il meccanico grida nel vento: "Tu non sei il tuo nome".
Una scimmia spaziale di quelle che sono sedute dietro gli fa contrappunto: "Tu non sei i tuoi problemi".
Il meccanico grida:"Non sei i tuoi problemi".
Una scimmia spaziale urla: "Tu non sei la tua età".
Il meccanico grida: "Non sei la tua età".
(Chuck Palahniuk, Fight Club. Traduzione Tullio Dobner, Mondadori)

giovedì 31 maggio 2007

Anti-mucca


Le mucche mi sono antipatiche, non so che farci. La loro immagine di mansueti e placidi mammiferi brucanti è la rappresentazione esatta di animali prossimi all'inettitudine totale. Le hanno dipinte in tutte le maniere, coi fiori in testa, con la tinozza di legno sotto le mammelle, con le ciglia lunghe e gli occhi dolci, sorridenti su scatole di formaggini, pezzate di viola in qualche cantone svizzero. E loro che fanno? Niente. Mai uno scatto di orgoglio o un segnale di stizza. Mai una sana e bovina ribellione. Questi esoftalmici parallelepipedi di carne, cattedrali semoventi su tappeto erboso hanno anche le zampe corte. Ogni tanto provano a correre e poi si fermano subito perchè - giustamente - se ne vergognano. Che poi ho visto mucche del Senegal e mica hanno le zampe così corte, sono molto più dignitose. Certo, quelle del Senegal se ne stavano sulla spiaggia e ti domandi: ma c'è un posto più inutile di una spiaggia per una mucca? Non c'è erba da brucare e non fanno neanche il bagno. E che ci stanno a fare sulla spiaggia 'ste intronate?! Bah, non le capirò mai. Poi, se fai un rumore ti guardano, se ti avvicini ti guardano, se le guardi ti guardano: ma che ti guardi? A parte che secondo me la mucca ci fa ma non ci è perché quando la osservi sta sempre lì a studiare il metro quadro d'erba che ha sotto quella bifora di naso che si ritrova, ma se appena appena ti distrai... tràc, non è più dov'era prima! Perchè ti muovi solo quando mi giro, infida giovenca? E' evidente che questi bestioni dallo stomaco barocco, rompicapo da esame di anatomia comparata, sanno quello che fanno e fanno quello che vogliono. Stereotipo di vaccina stoltezza, sacre in alcuni paesi e celebrate da Antonella Clerici, le mucche nascondono qualcosa. Ma probabilmente non se lo ricordano.

martedì 8 maggio 2007

36

Ho sempre pensato - o almeno così mi hanno fatto credere - che l'età fosse in qualche modo legata a dei cambiamenti interiori profondi. Se però ripenso a quando avevo 16 anni non è che noti cambiamenti così sconvolgenti. Alla fine sono sempre io: amo fare le stesse cose e mi danno fastidio le stesse cose. Continuo ad ascoltare tanta musica e leggere libri. Continuo ad amare la cucina, i vini e il cioccolato. Continuo ad odiare mucche e cachi. Certo, ho solo un po' più di esperienza ma il nucleo di Ottavio è sempre quello.
Alcune cose però le ho imparate:
1. Non devi avere paura del tuo cuore. Mai.
2. Essere sinceri è dura ma ti fa sentire meglio.
3. Se parli quando hai un problema hai buone possibilità di risolverlo.
4. Gli amici sono l'unica via di fuga quando la situazione è disperata.
5. Prima di fare ciò che ti piace devi capire cosa ti piace.
6. Fare shopping è divertente.
Ecco, questo ho imparato in 36 anni. Di questo passo, a 72 avrò capito che bere tanta acqua fa bene all'organismo. Meglio tardi che mai. Buon compleanno ad otty, ad Ottavio e a me. Tutto sommato andiamo abbastanza d'accordo.

mercoledì 2 maggio 2007

La stanchezza

Sono stanchissimo. Fisicamente a pezzi. Ogni cosa richiede impegno: dal lavoro ai rapporti con le persone. Provi ad essere quello che non sei con alcuni e ci riesci. Cerchi di essere quello che sei con altri e non ci riesci. Gli effetti sono sempre imprevedibili. Però, la stanchezza serve sempre a qualcosa. Se ti stanchi vuol dire che da qualche parte stai andando e se ti muovi, prima o poi, la strada giusta la trovi. Ok, a nanna. Buonanotte.

martedì 1 maggio 2007

Dedicato

Oggi è il primo maggio e io sono a casa. Non mi sto propriamente riposando ma non sto nemmeno lavorando.
Tutto sembra più lento. Io più del solito.
Però in un giorno di riposo come questo c'è anche chi sta lavorando.
C'è chi lo fa perchè lo deve fare per contratto.
C'è chi lo fa perché non ha un contratto.
Ma c'è anche chi lo fa per "scelta consapevole".
E' poco, lo so, ma a queste persone è dedicato il post di oggi.
E, se ci riuscite, non stancatevi troppo.

domenica 29 aprile 2007

Linus

Molto prima che fosse coniato il termine VeeJay. Molto prima che piazza Duomo a Milano diventasse uno studio televisivo. Molto prima di vari "A Night With" e "Music Awards"... Insomma, molto prima c'era lui: Linus. Io tornavo da scuola, mangiavo e mi fiondavo in poltrona a vedere DJ Television. A parte un tanto delicato quanto candido interesse per la nippo-americana Kay Rush (ehm...), la mia attenzione cadeva poi su Linus: toni pacati, maglietta nera, occhi azzurri e naso enorme. Mi piaceva come presentava i video. Pet Shop Boys, Sandy Marton, Spandau: aveva sempre l'aria di una persona misurata. Mai urlante, mai retorico, mai divo. Adesso lo vedo ancora in televisione perché riprendono "Dj Chiama Italia" radiofonico della mattina e lo trasmettono in tv la sera. Hilary Duff, Justin Timberlake, Avril Lavigne: lui ha ancora l'aria di una persona misurata. Non è diventato urlante, non è diventato retorico, non è diventato divo. E un po' mi fa piacere. Tutto qui.
PS:...certo che adesso al posto di Kay Rush c'ha vicino Nicola Savino!

sabato 28 aprile 2007

Il Signore degli Anelli

Per definizione un pregiudizio è un giudizio a priori, cioè non basato sull'esperienza ma sull'idea che si ha di qualcosa. Io ho sempre avuto un pregiudizio nei confronti delle mucche e dei libri di Tolkien. In realtà, un minimo di esperienza l'ho avuta (dei libri di Tolkien, non delle mucche): iniziai a leggere qualche anno fa "Lo Hobbit" ma a pagina 100 pensai che 13 nani, gente coi piedi pelosi e potenti maghi barbuti non fossero il mio genere. E da qui nacque il pregiudizio. Quando uscì al cinema la trilogia de "Il Signore degli Anelli" il mio raffinato pensiero fu "che palle". Grazie però alla critica cinematografica molto particolare di una mia amica mi è venuta la voglia di vedere il film. Dico subito che mi manca la terza parte quindi ho visto solo "La Compagnia dell'Anello" e "Le due Torri". Giudizio critico: una figata. Gagliardo ed attento come un segugio mi sono messo alla caccia di significati reconditi, fiutando implicazioni socio-politico-religiose, allegorie pre-no-global e post-industriali. Eh eh, riuscirò anch'io a dire qualcosa di clamorosamente intelligente sull'argomento garantendomi gloria e lodi per il resto dei miei anni, pensavo. Risultato: niente. Oh, non c'ho trovato niente! Finché, una notte mi è venuta in mente una possibile interpretazione: tutti i personaggi è come se avessero dentro di sè delle componenti malvagie e delle componenti buone. Un evento esterno le fa emergere. Se l'evento è negativo (l'anello, la sete di potere) emergono le componenti negative. Se l'evento è positivo (l'amicizia, il coraggio, la lealtà) emergono quelle positive. Ciò che distingue le persone però, e qui arriviamo al punto, non è tanto a quale evento vanno incontro (il destino) ma in che proporzione hanno dentro di sè componenti buone e cattive perché solo questo deciderà l'intensità di attrazione verso l'evento esterno. Tutto qua? Si, embè?! Oh, più di tanto non mi viene. Comunque il film è bello. I pregiudizi meno.

venerdì 27 aprile 2007

Slava

La sera del 11 novembre 1989 mi fermai davanti al televisore mentre al Tg1 stavano trasmettendo un servizio sulla caduta del muro di Berlino. Si vedeva un signore calvo e vestito di scuro che, seduto su una sedia, suonava un violoncello. La cosa che mi colpì di più al momento furono due piedi gialli di Topolino che facevano capolino dietro la sua spalla sinistra disegnati sul muro. Quel signore era Mstislav Rostropovich che pensò di festeggiare la caduta del muro nell'unico modo che conosceva: suonando Bach con il suo violoncello. La scena era surreale: un pezzo di muro di Berlino coperto di graffiti, un maestro del violoncello, persone tutte intorno che ascoltavano in silenzio. La vergogna, l'arte, l'uomo. Questa scena mi fece pensare ad una cosa di cui sono ancora convinto: le cose sottili e belle della natura umana si lasciano mangiare, calpestare e fare a pezzi dalla brutalità e dalla violenza ma non muoiono mai e alla fine ci sarà sempre qualcuno a ricordarci che siamo, in fondo, esseri delicati. Io non ho mai conosciuto il signor Rostropovich e non ho mai assistito ad un suo concerto ma quella sera, suonando da solo davanti ad un muro, mi insegnò qualcosa. Oggi, il signor Rostropovich se ne è andato.

mercoledì 25 aprile 2007

Perché ho aperto un blog

Non dirò mai perché ho aperto un blog.
E questo è molto zen...