sabato 9 giugno 2012

Della musica "triste"

Il sempre-sul-pezzo Moreno (aka Emmecola) che instancabile scandaglia criticamente la Rete, mi manda il link ad un articolo su cui potremmo disquisire per decenni. I fatti in breve sono questi: due ricercatori - lo psicologo E. Glenn Schellenberg e il sociologo Christian von Scheve - hanno pubblicato un articolo sulla rivista Psychology of Aesthetics, Creativity and the Arts in cui teorizzano il progressivo "intristimento" della musica. Misurando il tempo e il modo dei brani più popolari degli ultimi 25 anni, hanno notato un progressivo calo del ritmo ed un sempre più frequente utilizzo del modo minore. A quale conclusione porta questa evidenza? En passant, è sempre interessante l'approssimazione che l'effetto "telefono senza fili" genera nell'informazione: se si legge l'articolo originale si deduce che la musica pop sta diventando sempre più composita nel contenuto emozionale, se si legge l'articolo del giornalista che riporta la notizia viene fuori che la musica pop è sempre più triste. Bah.

Ma torniamo all'articolo. A mio parere, nel lavoro ci sono due punti discutibili: la misura di popolarità attraverso Billboard introduce un'inevitabile distorsione legata al gusto anglosassone - se è vero che il grosso della produzione musicale oggi è in inglese, è anche vero che non si tiene in considerazione un'enorme fetta del mercato musicale rappresentata dal mercato latino o asiatico - inoltre, non è detto che il tempo ed il modo catturino bene il "tasso di minore allegria" del brano: ci sono generi molto veloci che non sono per niente allegri e generi lenti che non sono per niente tristi. Inoltre, il modo minore usato in un certo contesto musicale non necessariamente ti fa piangere sulla spalla del vicino: molti brani trance hanno parti in minore e non mi sembra che i rave siano luoghi di contrizione e mestizia.

Specificati questi aspetti ed usando tutte le pinze del caso, cosa sta succedendo alla musica? E' molto difficile esprimere delle opinioni di carattere generale ma il risultato, tutto sommato, non mi sembra così sorprendente. Andiamo con ordine e stabiliamo subito tre principi:
1. "Musica non allegra" non vuol dire "musica triste"
2. "Musica allegra" non vuol dire "musica che ti mette allegria"
3. "Musica triste o allegra" non vuol dire "musica che ti fa star bene"
Questi tre principi sono necessari per evitare almeno di cadere in tentazioni di semplificazione da bar del genere: la musica è meno allegra perché i tempi sono più tristi. Ovviamente è una banalità perché basterebbe pensare alle hit e ai balli in auge nei periodi di guerra per capire che se il periodo è di per sè triste forse la gente preferisce ascoltare e ballare cose allegre. Dunque?

Per cercare una spiegazione al fenomeno, bisognerebbe considerare, a mio parere, altri due aspetti molto importanti: il cambiamento delle modalità di fruizione della musica ed il cambiamento delle modalità di produzione. Molti anni fa, la musica svolgeva una funzione quasi esclusivamente sociale. Le persone ascoltavano musica quando stavano insieme e i mezzi che la trasmettevano - dal juke-box ai locali fino alle stesse radio - svolgevano egregiamente questa funzione. E' abbastanza semplice immaginare che se la musica si ascolta in una dimensione sociale, la stessa musica venga utilizzata dal gruppo per attività sociali come il ballo. Ciò che è accaduto negli ultimi anni è un fenomeno abbastanza evidente ma poco riconosciuto: la portabilità della musica. E' vero che il walkman, il lettore cd e il mini-disc hanno innescato il fenomeno ma è anche vero che dalla loro non avevano capacità paragonabili al più piccolo lettore mp3 di oggi. Progressivamente, quindi, la musica ha cominciato a trasformarsi dalla "cosa speciale" che si ascolta in un posto particolare alla "cosa speciale" che si ascolta ovunque ma, soprattutto, da soli. E' evidente che perdendo la sua dimensione sociale, la musica ha perso anche la sua funzione sociale, trasformandosi da prodotto da ballo (finalizzato alla produzione di sudore o, nel caso dei lenti, alla gran-pomiciata-royale) a prodotto custom, personalizzato sul proprio umore e gusto.

All'interno di questo cambio di destinazione funzionale, anche la produzione musicale ha subito una grande mutazione che, a differenza di quanti pensano, non sta nella facilità di composizione - fare musica fatta bene resta difficile anche con l'elettronica - ma in una caratteristica ben precisa: l'abbatimento dei costi. Oggi, ottenere prodotti qualitativamente accettabili e farli ascoltare al mondo costa drammaticamente meno rispetto a qualche anno fa. Questo aspetto è rilevante per la nostra analisi perché con l'abbassarsi dei costi una miriade di piccoli produttori sono apparsi sul mercato facendo crescere la competizione a livelli mai visti prima. E quindi? Quindi, oggi, devi produrre musica mettendoti in testa che il destinatario finale potrebbe non voler necessariamente ballare ma magari solo godersi un mood malinconico in metropolitana tra Molino Dorino e Precotto. Allo stesso tempo, però, devi riuscire a produrre qualcosa che entri subito perché il tempo è poco ed il rumore di fondo della concorrenza è altissimo.

La mia sensazione è che il trend decrescente in termini di tempo e crescente in quantità di utilizzo del modo minore non ci dica molto su un'ipotetica tristezza dei tempi - che come ho detto sopra mi sembra un po' una scemenza - ma ci dica moltissimo su come è cambiata la fruizione del prodotto musicale e come sia complesso l'ecosistema in cui gusti ed offerta cerchino un punto di equilibrio. Parlo di punto di equilibrio perché immaginare che il tempo dei brani possa scendere senza limiti è tanto inverosimile quanto immaginare che possa crescere senza limiti. Penso sia più appropriato considerare un corridoio di tempi in cui il gusto si muova liberamente e questo articolo ha fotografato solo una parte del trend, polarizzato dall'arrivo di due grandi cambiamenti: la musica su misura che si ascolta per stare soli e la musica che costa poco che, aumentando la concorrenza, obbliga a produrre brani che sopravvivano alla dura legge dello shuffling.

PS: Quest'analisi permette anche di spiegare il perché alcuni artisti sentano il bisogno di vestirsi con abiti fatti di bistecche di manzo e si ubriachino solo in presenza di fotografi.