giovedì 27 ottobre 2011

Assuefazione ricorsiva

"Non è che gridiamo allo scandalo solo per salvarci la coscienza?". Su questo amletico dubbio, Aldo Grasso ci avverte oggi dal Corriere della Sera che forse - ma solo forse, eh - ci stiamo abituando al dolore. Timidamente, con una cravatta a righe orizzontali in accordo perfetto con il suo commento monotonale, solleva l'argomento a cui nessuno aveva mai pensato. E con la ricorsività che è propria della tv che parla di sè stessa, mentre ci rivela che il dolore è ormai palinsesto quotidiano, alla sua sinistra scorrono le immagini del linciaggio di Gheddafi e della morte in pista di Simoncelli. Complimenti.

L'effetto di riflessioni come questa è sempre lo stesso: un significativo "ha ragione". E poi si ritorna a seguire speciali Rai o Mediaset sui delitti più efferati perché è così che ci si fa un'opinione ed è così che ci si sente dalla parte dei giusti e dei buoni, di quelli che si scandallizzano tutti insieme, di quelli che ne possono poi parlare agli amici o al lavoro. Voyerismo. Solo curiosità asettica, quella senza rischi che tanto se guardi dal buco della serratura nessuno se ne accorge, non senti l'odore del sangue o della paura e non senti nemmeno più che il dolore altrui esiste in televisione per vendere pubblicità.

E se domani quel dolore ad uso altrui fosse proprio il tuo? Se accendendo la televisione, giorno dopo giorno, ti accorgessi di essere diventato un Truman Burbank, che vive nel proprio mondo reale mentre gli altri osservano, morbosi e curiosi, il tuo comportarti da essere umano.

Ti chiederesti ancora: "Non è che ci stiamo abituando?".

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