domenica 8 novembre 2009

Il medico, l'influenza e la posta del cuore

Venerdì 6 novembre sul Corriere della Sera è apparsa una lettera scritta dal Dott. Harari, Direttore dell'Unità di Pneumologia dell'Ospedale San Giuseppe di Milano, dal titolo: "Io, medico e la febbre di mia figlia". In questa lettera il Dott. Harari racconta come ha vissuto da genitore i giorni di febbre della figlia di due anni e mezzo in un'Italia colpita dal terrore del virus H1N1. Inizialmente, il pneumologo fa una breve cronaca della sua vita professionale quotidiana ("[...]vado in ospedale, non facciamo che rispondere alle domande di chiarimento dei no­stri pazienti con problemi respiratori sul vacci­no per l’influenza H1N1 [...]", "Ci telefoniamo tra colleghi: tu quanti casi hai visto? Come sono andati? Ma hai messo in isolamento il malato? Per quanti gior­ni? I dubbi e le domande sono molti più delle certezze che le diverse indicazioni operative re­gionali e ministeriali vorrebbero trasmettere."), per poi passare alla sfera privata ("Torno a casa, è venerdì sera, mia figlia ha sem­pre 39 e la febbre non scende.","Comincio a rompere il velo del silenzio con mia moglie e accenno alla possibilità che sia la nuova influenza, ho qualche esitazione nel no­minarla, quasi che evocarne il fantasma possa farla materializzare; 25 anni di medicina e tutto il mio illuminismo scientifico si stanno sbricio­lando nel giro di poche ore.", "È domeni­ca, Anna ha ancora 39, nascondendomi in bagno mando un sms alla mia amica pediatra, «la bam­bina ha ancora la febbre, la porterei in ospedale a farle dare un’occhiata»") ed, infine, concludere con una risoluzione positiva ("Tutto bene, acqua e zucchero, qualche con­siglio e un po’ di pazienza e tutto passerà.", "An­na finalmente si sfebbra. Domani è lunedì, si tor­na in ospedale, il caos dell’influenza mi aspetta ma almeno mia figlia sta bene.").

Premesso che siamo tutti più sollevati nell'apprendere dal principale quotidiano italiano che la bambina del Dott. Harari non ha più la febbre, la domanda che mi sorge spontanea è: visto che viene messa nella rubrica speciale sull'influenza, cos'è questa lettera? E' una lettera scientifica? E' una lettera romantica? E' una lettera utile a qualcuno? In un clima di crescente isteria collettiva in cui non si capisce più chi muoia di cosa ma l'importante è trovare una relazione con l'influenza A, il Dott. Harari pensa bene di raccontarci come un medico si riscopra anche papà apprensivo. Pensiero carino e delicato, ci mancherebbe, ma, con tutto il rispetto, chi se ne importa? Io non conosco il Dott. Harari ma quello che mi risulta difficile credere è che un professionista come lui non consideri l'idea che in periodi critici forse converrebbe dare apporti razionali più che rendere pubblica la propria componente irrazionale. Che un medico, specialista in pneumologia, cioè colui che - giustamente - viene visto come punto di riferimento dalla maggior parte delle persone e da cui tutti si aspettano risposte più chiare e precise della media scriva lettere come questa mi sembra quantomeno bizzarro. Cosa si deduce dalla sua missiva? Notizie sull'andamento dei contagi? Sul come comportarsi? Su come curarsi? Nulla di tutto ciò. Da questo spaccato di vita privata emergono due informazioni: la prima è che i medici italiani cercano di tranquillizzare le persone ma alla fine anche loro non è che sappiano bene cosa fare; la seconda è che lui stesso, medico, è terrorizzato dall'Influenza A. Confortante vero?

Nessuno mette in discussione che l'aver paura di qualcosa sia una reazione più che legittima ed umana, né tantomeno è in discussione il fatto che una laurea in medicina non basti a preservare da tali paure, quello che però trovo difficile da accettare è che un uomo di scienza decida di condividere con il mondo questo suo travaglio interiore proprio in questi giorni sensibili. Più che onestà intellettuale a me sembra benzina sul fuoco e un addetto ai lavori queste cose dovrebbe capirle. Chissà cosa avranno pensato di questa lettera le migliaia di medici suoi colleghi che ogni giorno scelgono di tranquillizzare con la razionalità le persone terrorizzate non dall'influenza ma dall'informazione? Grazie al cielo, questi medici non sentono il bisogno di scrivere lettere al più importante quotidiano italiano per raccontare che i propri figli hanno la febbre, che si nascondono in bagno per spedire sms al pediatra e - capolavoro - "25 anni di medicina e tutto il mio illuminismo scientifico si stanno sbricio­lando nel giro di poche ore". Ma cosa c'entra il metodo scientifico con l'apprensione che un padre può provare per la propria figlia? E' una cosa così anormale essere preoccupati? O forse un medico pensa che apprendere un metodo che da qualche secolo viene usato per testare ipotesi ed interpretare i fenomeni naturali trasformi istantaneamente le persone in macchine? Ma chi può pensare una stupidaggine del genere?

Una lettera di questo tipo, con questo clima, serve solo ad una cosa: spingere molte persone, che medico non sono, a sentire giustificata e corroborata la propria paura ("Se ha paura un medico vuol dire che ho ragione a preoccuparmi anch'io!"). A mio parere, in questo periodo chi si occupa di scienza dovrebbe offrire chiarezza che non vuol dire certezze ma buon senso e precisione nel presentare i dati. Solo osservando i numeri si può seguire l'evoluzione di un fenomeno e, eventualmente, rilevarne anomale deviazioni. Tutto il resto è dare un contributo all'ignoranza, la degna anticamera della paura.

(Articolo in versione integrale: http://www.corriere.it/salute/speciali/2009/influenza-a/notizie/medico-figlia-malata-influenza-a_26d54790-ca9a-11de-89f9-00144f02aabc.shtml)